Nella rassegna estiva dedicata ai living dead stiamo cercando di alternare grandi classici, che non possono non esserci, ad anticipazioni, rarità, nuove tendenze, film trashissimi e curiosità da ogni parte del mondo e del web (ieri alle 23 al 63° Festival del film Locarno nella Sala hanno proiettato il porno-gay L.A. Zombie di Bruce LaBruce dove un alieno cerca di resuscitare tutti i maschioni che incontra lasciandovi indovinare come, finché ATTENZIONE SPOILER decide di scavarsi la fossa e morire. Unico product placement Marlboro ma lasciamo a Barbacini - il nostro principale inviato ai festival - la possibilità di approfondire prendendo io il film trashissimo). Fra i film trashissimi non si può lasciar perdere Le porte dell'Inferno di Umberto Lenzi del 1989. Cominciamo subito a dire che Umberto Lenzi è stato uno dei più bravi maestri del cinema di genere italiano degli anni '60 e '70, che ha firmato decine di "capolavori" passando dall'avventura "I pirati della Malesia" ai fumettistici "Kriminal", dal thriller "7 orchidee macchiate di rosso" al poliziottesco "Milano odia: la polizia non può sparare" fino al cannibal con il mitico "Cannibal Ferox". Tutti assolutamente cult. Purtroppo con la fine degli anni '80 e inizio '90, finisce nel vortice dei prodotti semi-televisivi che andavano di moda allora, dirigendo alcuni dei film più brutti della storia del cinema horror come "Demoni 3", "La casa del sortilegio" o "La casa delle anime erranti". In questo marasma entra di diritto questo capolavoro che abbiamo catalogato come morti viventi, anche se probabilmente neanche i protagonisti hanno ben capito cosa fossero questa sorta di monaci arrivati dall'oltretomba. La storia è semplice uno speleologo sta cercando di battere il record di permanenza in grotta. Giusto un'ora prima della sua salita il collegamento video si interrompe e lui chiede aiuto dicendo che stanno arrivando. Da sopra i 4 aiutanti decidono di scendere insieme a due turisti capitati li per caso, uno dei due (la donna) docente all'Università degli studi di Firenze arrivata per studiare i ruderi della basilica distrutta sopra la grotta. Giusto, mi dimenticavo di citare i ruderi, ma d'altronde sopra ogni grotta che si rispetti ci sono dei ruderi di basilica. Tutti scendono per questa gita salvataggio e ovviamente tutti sappiamo già come va a finire. Un misto fra Fog, Phanthasm, alien due e quant'altro messo insieme a caso. A parte gli effetti speciali e le grotte illuminate a giorno chissà da cosa veniamo al product placement dove, anche in questo caso niente è stato sfruttato al meglio. Due però sono le cose divertenti: la povera e fragile studiosa di basiliche che per viaggiare leggera gira con due macchine fotografiche: Canon in basilica, Polaroid nelle grotte. Da esperto potrei affermare che probabilmente è stata una svista, ma veniamo alla vera chicca. Arrivati nella grotta i nostri eroi non trovano più il recordman ma solo le sue cose abbandonate. Fra queste la versione economica de Il nome della Rosa di Umberto Eco edito da Bompiani. Problema numero 1: secondo chi lo ha osservato per mesi da sopra modello
Grande Fratello sostiene che lui non aveva libri. 2° problema: è macchiato di sangue. Ci pensano un po' poi uno ha l'intuizione modello "spiegone". "Questo libro parla di un abazia e noi siamo sotto un'abazia, possibile che ci sia un nesso?" Tutti lo guardano terrorizzati, e io li a guardarlo basito chiedendomi cosa sto guardando (avevo rimosso la scena dalla mia unica visione nell'89). Ma questo non è certo il punto migliore che viene lasciato per il colpo di scena finale che non vi svelo per lasciarvi il gusto di incazzarvi anche voi. Certo, come sopra, sempre d'inchiappettata si tratta.