La sagoma di un maialino hongkonghese si aggira per il mondo: la sagoma di Mcdull! E’ nel 2001 che esplode sugli schermi il caso Mcdull (sembra accertato che la grafia corretta sia questa, anziché McDull), con un geniale cartoon, “My Life as Mcdull”, diretto da Toe Yuen su testo di Brian Tse (art director Alice Mak), derivato dalla serie televisiva “McMug”. Presentato al Far East Festival di Udine 2002, il film mantiene abilmente una doppia destinazione; è diretto a un pubblico infantile ma nel contempo contiene una serie di riferimenti satirici, per non dire del discorso di fondo, indirizzati al pubblico adulto. Questa storia dell’umile maialino Mcdull e di sua madre McBing - una madre single (è stata abbandonata dal marito) povera ma ambiziosa - è un’opera assai rilevante. Le sue figure marcatamente bidimensionali dal tratto pseudo-infantile si stagliano sullo sfondo di una Hong Kong ricreata attraverso una pluralità di mezzi grafici, dal disegno alla fotografia al filmato. Caratteristicamente intricato e mutevole nel racconto, il film è attraversato da una vena malinconica, crepuscolare. I suoi temi base sono il sogno e la delusione, il tempo che passa e la sconfitta; e il film osa spingersi fino all’argomento tabù della morte, quando la voce narrante di Mcdull adulto rievoca (è il momento più alto del film) la morte e la cremazione della madre.
Il secondo Mcdull (pare ne sia prevista una trilogia), ancora più bello del primo, si intitola “Mcdull, Prince de la Bun”, è opera della stessa équipe e abbiamo potuto vederlo in aprile a Udine al Far East Film Festival 2005.
Com’è naturale, il principio grafico è lo stesso del film precedente, però un ampliamento dei mezzi grafici impiegati per la costruzione degli sfondi - in seguito evidentemente a un budget più consistente - dà al cartoon una dimensione più ricca. Il film mantiene la stessa struttura narrativa libera e digressiva del precedente. Fra diversi subplot (fra cui una visione satirica della ricostruzione della città, affrontata dai miseri personaggi con malinconica rassegnazione) il racconto principale è quello del “Prince de la Bun”, ossia il padre assente di Mcdull. Questo emerge attraverso un racconto tra fantastico e autobiografico che la madre fa al maialino - i racconti della buonanotte di Mrs. Bing, buffi per la conclusione troppo veloce, facevano già capolino nel primo “Mcdull”. Ora “Mcdull, Prince de la Bun” ci informa spiritosamente che Mrs. McBing sogna di fare come un’altra madre single che si è tolta dalla povertà inventando fiabe di successo: J.K. Rowling. Così il racconto che infligge a Mcdull (il quale ogni tanto protesta che preferirebbe Harry Potter) è una goffa favola (comprendente una parodistica imitazione del “Piccolo Principe) sul principe che ha perduto il regno e si trasferisce a Hong Kong, dove sposa McBing, con un trasferimento del racconto piano quotidiano della saga; e sembra che il rimpianto del passato sia destinato a spegnersi nella vita quotidiana (al matrimonio lei lo chiama “Mio principe”; però poi il principe abbandona la moglie per riprendere il tentativo di ritornare al suo regno e riconquistarlo, insieme a pochi sgangherati compagni. “Forse mio padre inventò la storia per mia madre, forse la mamma la inventò per me, o forse è una storia vera”, dice la voce narrante di Mcdull, che come nel primo film ci parla da una agrodolce dimensione della memoria. E come nel primo film, la narrazione è attraversata da una pervasiva malinconia: ancor più del precedente “Mcdull, Prince de la Bun” ci parla del rimpianto, della sconfitta del sogno (alla fine vediamo il principe e i suoi accoliti immobili in posa eroica sul ciglio di una cascata invalicabile), del fallimento e della rassegnazione di fronte alla durezza della vita. E’ lo scontro fra il sogno e la realtà; e questo cartoon insieme esilarante e patetico tocca un altissimo momento di dolore mélo quando vediamo McBing che singhiozza leggendo la lettera di abbandono del marito. Ora capiamo di più - lo dice anche la voce narrante del protagonista - l’eroismo della madre, ossessiva risparmiatrice, nel sacrificarsi per far studiare Mcdull (e c’è una sequenza, collegata a un altro subplot, quello della gamvba tremolante di Mcdull, che sembrerebbe postulare un trionfo esistenziale, ma in un film interamente in bilico fra fantasia e realtà potrebnbe essere una scherzosa fantasia di compensazione). Fra la madre concentrata sul futuro e il padre attaccato al suo passato irreale e fantastico, commenta la voce narrante, Mcdull resta solo, bloccato nel qui ed ora del presente.
NOTA Già il primo “Mcdull” era molto attivo - come accade sempre nel cinema hongkonghese e orientale in genere - nel campo del product placement. Non mancano nel secondo varie marche, che annotiamo qui dai credits di coda: One Free, Wellcome, Fotomax, Now.com.hk, Appolo, Panorama Entertainment.
Giorgio Placereani