VIE FESTIVAL 2011
Anche quest’anno rinnovato l’appuntamento annuale con il Festival della “Scena Contemporanea” che si tiene in vari teatri di Modena e provincia.
Una ventina di spettacoli per mostrarci quanto di interessante c’è in giro con qualche assaggio di teatro estero.
Si comincia con l’artista “di casa”, l’ormai affermatissimo Pippo Del Bono, esponente di una scena anticonvenzionale e visionaria. “Dopo la battaglia” è il nuovo capitolo della sua arte fatta di corpi altri (su tutti sempre Bobo il sordomuto “liberato” da Del Bono da una casa di cura e riportato ad una vita sociale), composizione della scena con una sensibilità “felliniana” e tanta poesia ad illustrare il malessere dei nostri giorni (e della nostra nazione in primis). Stavolta si porta sul palco con lui ospiti eccellenti come la danzatrice Marigia Maggipinto, storica componente della compagnia di Pina Bausch, Alexander Balanescu, noto violinista, e addirittura Marie-Agnes Gillot, etoile dell’Opera di Parigi.
Le opere che ci sono sembrate più importanti della rassegna sono i classici rivisitati nei due bellissimi spettacoli “Karamazov” da Dostojevski e “Racconti africani da Shakespeare” miscela dei lavori del bardo inglese rivisitati in chiave moderna.
“Karamazov” è diretto e interpretato da Cesar Brie, argentino ormai da anni adottato dalla nostra penisola, che riesce a compensare in un paio d’ore il romanzo scegliendo con competenza i passi chiave dell’opera del grande scrittore russo da mettere in primo piano facendo invece scorrere le parti narrative grazie a soluzioni varie utilizzando espedienti della tradizione teatrale come mimica e pupazzi. Uno spettacolo in grado di affascinare e divertire senza sminuire la pregnanza del testo. Tutti bravissimi i giovani interpreti. Dietro allo spettacolo tratto liberamente dalle opere di Shakespeare sta invece il polacco Krzysztof Warlikowski da anni protagonista della scena teatrale e operistica europea, già collaboratore di Peter Brook. Partendo da ‘Re Lear’ per approdare a ‘Il mercante di Venezia’ e ‘Otello’ e ritornare al primo, in un fluviale spettacolo di 5 ore e mezzo, riesce a darci una visione dell’inquietudine e dell’emarginazione contemporanea utilizzando come tramite testi dello scrittore sudafricano Coetzee e rendendo protagonisti della scena uomini di colore, ebrei, omosessuali, donne, anziani, ovvero i soggetti vittime della discriminazione di una società malata, ora come ai tempi di Shakespeare.
Vediamo qui apparire le prime brand della rassegna, tute ADIDAS (l’Antonio dalla contesa libbra di carne ne indossa una) e la rivista LIFE con in copertina Otello!
Diciamo subito che product placement se n’è visto poco lungo la rassegna sintomo di uno scarso interesse del teatro, almeno quello alternativo alle grandi produzioni, a questo tipo di finanziamento (forse, principalmente, perché non vi è un grosso interesse da parte delle ditte che non vi vedono grosso veicolo pubblicitario).
Ad esempio nel piccolo e carino “C’est du chinois” (una famiglia di cinesi immigrati in Italia ci dà una lezione di cinese mostrandoci oggetti ed azioni e dandone la definizione nella loro lingua permettendoci di imparare alcuni vocabili che verranno poi utili per comprendere stralci di dialoghi tra i protagonisti mettendo alla luce i reali rapporti tra di loro fatti di invidia, rimproveri, insoddisfazione, specchio di un’infelice vita da emigranti) di Edit Kaldor potrebbero essere inserite marche in grandi quantità ma, correttamente visto che sicuramente non è stato accordato nessun contratto pubblicitario, vengono utilizzati prodotti da “discount” in cui la birra riporta sulla lattina Birra, la Coca Cola, Cola, e il cioccolato Cioccolato (anche se nel cartone che lo contiene il marchio NESTLE’ sfugge al controllo).
Nessun espediente per celare le brand invece nel Lituano “Kapusvetki” di Alvis Hermanis, altro regista non nuovo a lavorare anche in italia. La pièce è tutta incentrata (con ironia e affetto) sul culto dei morti da parte dei lituani, al limite dell’ossessione. Una dozzina di attori/orchestrali sono allineati sul palco e tra un suonata e l’altra ognuno racconta una storia che ha a che fare con i cimiteri e la sepoltura di parenti o conoscenti mentre alle loro spalle scorrono immagini di cimiteri lituani.
Ogni tanto ci si interrompe per consumare una fugace merenda sul palco con panini di MC DONALD’S e bottigliette di COCA COLA, mentre sullo schermo appare una OPEL, una maglietta di Messi sponsorizzata SONY e delle tastiere ROLAND.
Torna a Modena il giapponese Toshiki Okada che aveva ben impressionato con i due primi episodi di quella che è una trilogia sull’alienazione della vita quotidiana e la ricerca di qualcosa di più appagante. Quest’anno l’ultimo capitolo mostra qualche segno di stanchezza nell’ispirazione del regista di cui aspettiamo possibilmente nuove creazioni con altre intuizioni. Nel frattempo notiamo un filmato apparentemente superfluo di una latta di salsa KAGOME sulle pareti della scena: product placement?
In fatto di esposizione o citazione di brand non ci lasciano a secco i newyorchesi del New York City Players nella piece della durata di poco più di un’ora in cui un oculista fallito ed una divorziata greca immigrata con problemi di vista (dovuti allo stress) mettono in confronto le loro vite miserabili. Un pezzo di teatro molto bello del drammaturgo e regista Richard Maxwell con due interpreti perfetti, Lidia Mancini e Jay Smith. In scena con loro un piano KAWAI mentre nel testo viene citato l’antidolorifico forse più usato in America, l’ADVIL e il quotidiano USA TODAY “unico giornale che la madre del protagonista può leggere senza subire allergie da inchiostro”.
Delude invece l’altrimenti ottimo Latella, ormai regista teatrale tra i più gettonati in Italia anche se ultimamente lavora a Berlino, con il suo nuovo progetto “Francamente me ne infischio” previsto in cinque capitoli di cui abbiamo visto i primi due. Partendo dalla Scarlett O’Hara di via col vento in ‘Twins’ ne immagina i sogni che prevedono in modo grottesco un’evoluzione della società americana incontrandone i miti da King Kong, a Marilyn Monroe, a Neil Armstrong. Un tentativo troppo banale di critica di costume e politica. Migliore il secondo capitolo, ‘Atlanta’ in cui Scarlett diventa eroina in cerca di emancipazione da una società opprimente in cui le tre attrici sul palco non si risparmiano in un’interpretazione di grande vigore anche fisico. Riportiamo la dichiarazione, per noi interessante, della protagonista in un passo dello spettacolo: “Non mi piace la guerra perché non si possono più fare acquisti, ad esempio non si possono più comprare le scarpe di PRADA…”.
Finiamo citando lo spettacolo belga (ma con ideazione del collettivo tedesco Gob Squad) “Before your eyes” che vede sul palco un gruppo di ragazzini rinchiusi in una casa/gabbia tipo Grande Fratello. L’interazione degli adolescenti con una voce/demiurgo esterna permette agli autori un’analisi degli effetti dell’invecchiare, del passare del tempo. Come quasi tutti gli spettacoli in cui vi sono protagonisti dei bambini (per altro molto bravi e naturali) viene lungamente applaudito dal pubblico. A noi interessa che in un video il più grande dei ragazzi balla davanti ad un distributore TEXACO e che viene citata la PLAYSTATION.