IL LAMENTO DI PORTNOY – Philip Roth (romanzo del 1969)
“Oppure mi piegavo in due sopra il pugno in azione, con gli occhi chiusi e la bocca ben spalancata, per ricevere quella salsa appiccicosa di latticello e CIF AMMONIACAL”
E’ questo uno dei passi del lungo monologo di Alexander Portnoy che snocciola le proprie angosce e le proprie ossessioni al dottor Spielvogel, psicanalista. Ci riferiamo al romanzo che ha dato fama ad uno degli scrittori ebrei-americani più importanti di sempre, Philip Roth e che consiste appunto in un monologo del protagonista.
Il protagonista del romanzo-confessione è l’ebreo Portnoy, sessuomane irrequieto, ai limiti della genialità a scuola quanto in difficoltà a rapportarsi con il mondo esterno e soprattutto con i non-semiti da cui è attirato (soprattutto le donne che adora e vorrebbe possedere in quantità) ma bloccato verso di loro da tabù razziali.
Tutti i suoi problemi nascono da un complesso edipico nei confronti della possessiva madre e dalla scarsa opinione che ha per il padre, modesto assicuratore con notevoli problemi di stitichezza.
Tutta la prima parte del monologo è spassosa assai, tipico humour ebraico, nella descrizione della famiglia e soprattutto per i problemi di “incontinenza” masturbatoria del nostro ragazzo.
Per chi non lo avesse capito la frase riportata ad inizio articolo parla proprio di una goffa azione onanistica del giovane Portnoy che si titilla il coso da mattina a sera e in ogni luogo (“Mi appartavo in un angolo vuoto del cinema e schizzavo il mio seme nell’incarto vuoto di una tavoletta di MOUNDS”). Più che ambientato ai tempi della liberazione sessuale (il libro è del 1969) sembra di essere in quelli della “repressione” erotica.
Come dicevamo importantissima anche la figura della madre sempre in ansia per il figlio fino a diventare castrante e insopportabilmente presente e sempre pronta a rimproverare il ragazzo: “Benissimo (…) come ha preso la colite? Perché mangia chazerai (porcherie in yiddish, ndr)! (…) per lui un pasto è una tavoletta di O HENRY innaffiata da una bottiglia di PEPSI.”
Oppure “Levati quegli stracci, Alex, e mettiti addosso qualcosa di decente. Non sono stracci, sono LEVI’S”.
Ma tutto il mondo ebraico è descritto con ironia e affetto per come è fondamentale per la crescita di Alexander.
Con salti temporali tra adolescenza e presente il paziente racconta allo psicanalista i suoi problemi con le donne (ne passa una dietro l’altra ma ha terrore di essere incastrato in un rapporto fisso) e con un mondo tendenzialmente razzista (di professione difende le minoranze e i deboli di fronte alle ingiustizie della società).
Il libro si legge tutto di un fiato e serve a riflettere divertendosi, ci si lascia catturare dalla prosa, meno elaborata che non negli ultimi capolavori di Roth, scorrevole e “colta” allo stesso tempo.
Come già evidenziato nelle frasi riportate sono molte le marche citate interessanti per noi studiosi del product placement.
Oltre alle citazioni di giornali e locali abbiamo sigarette (PALL MALL, LUCKY STRIKE), dolciumi (DRAKE’S DAREDEVIL CUPCAKES), macchine fotografiche (MINOX)
Spesso le brand vengono utilizzate anche per dare una “visione” dei personaggi, così “lo zio Hymie accatastava casse di SQUEEZE fino al soffitto, Heshie teneva una serie di pesi YORK”, le donne vedono in Pornoy qualcosa di diverso dai “playboy narcisisti in abiti di CARDIN”. Al proposito è interessante il collocamento di prodotti intimi che servono ad espletare l’edipico problema del protagonista (KLEENEX, KOTEX, PEPSODENT).
Chiudiamo con una joke scritta in pieno periodo Wahroliano: “Vado a passare il giorno del ringraziamento con Bill Campbell. Chi? CAMPBELL, come la zuppa”