Do not expect too much from the end of the world è l’arguto titolo dell’ultimo film di Radu Jude, uno dei registi più lucidi ed impietosi per descrivere i nostri tempi, la sua nazione e la sua storia e lo abbiamo visto Fuori Concorso (sezione che ha dato molte soddisfazione quest’anno) al Torino Film Festival 41.
Potremmo accodarci alla presentazione del selezionatore Casadei prima del film e sul catalogo ponendo l’accento sulla satira al capitalismo, al sistema dei social e alla centrifuga dei moderni mezzi di espressione nonché della perdita di baricentro informativo, perché è tutto vero, tutto questo nel film c’è. Come ci sono una cinefilia di fondo, una critica alla storia e alla società romena, un’accusa precisa sull’ipocrisia e sfruttamento, con la forza del potere del denaro, delle multinazionali.
Ma mi vorrei principalmente soffermare sull’incredibile figura della protagonista, Angela, e della sua straordinaria interprete Ilinca Manolache. Su di lei si regge tutto il film. Ne seguiamo una giornata dalla sveglia alla notte mentre cerca di soddisfare i compiti del suo datore di lavoro. Lei è un’addetta alle relazioni pubbliche e factotum di un’azienda di produzioni pubblicitarie e cinematografiche. Deve spostarsi in quattro posti diversi per andare ad intervistare dei lavoratori infortunati con invalidità permanente per uno spot dell’azienda in cui lavoravano a favore di una sensibilizzazione sulla sicurezza sul lavoro. Quindi una giornata passata in auto trovando anche il tempo di accompagnare la madre, di andare a discutere di un terreno che le vogliono togliere, andare a recuperare sul set di un film di Uwe Boll (divertentissima la sua apparizione come “himself” in cui si scaglia contro i critici e solidarizza con la nostra Angela) dei filtri, partecipare ad un briefing in cui tutti i colleghi si prostrano davanti ai rappresentanti della ditta austriaca committente, incontrare l’amante e andare a recuperare una rappresentante della ditta succitata, tra l’altro discendente di Goethe. Questo per uno stipendio basso e senza riposo, lei che vorrebbe solamente dormire e scopare.
Donna libera, anzi liberissima, senza alcuna remora ad insultare chiunque, gli autisti uomini che l’apostrofano, il suo capo, i conterranei romeni razzisti e corrotti, l’azienda committente rea di depredare le foreste romene degli alberi per farne legno per i suoi affari, i politici, finanche il re e la regina d’Inghilterra! Racconta barzellette che non fanno ridere, freddure volgari, scorreggia e rutta e ne ha per tutti con una propria morale e una propria concezione della vita ben precisa. Voglio restare una donna libera.
Contemporaneamente, e questa è la genialità sua e del film, ha creato su Tiktok un alterego maschile di un razzismo, un maschilismo e una scurrilità al di là di ogni limite e a chi le fa notare che sta esagerando risponde: “è una caricatura estrema per fare critica sociale, sono come Charlie Hebdo! Confido che esista ancora gente intelligente che lo capisca”.
Difficile raccontare tutto quello che contiene questo capolavoro di Jude che gira in bianco e nero tranne gli interventi su Tiktok di Angela e le immagini di archivio del film “Angela merge mai departe” di Lucian Bratu del 1981 che scorrono parallele a quelle dell’ Angela moderna. Quella degli anni ottanta è un Angela che fa la taxista e quindi anch’essa è tutto il giorno in auto e incontra gente come la sua omonima così che si possa vedere in contrasto la Bucarest odierna capitalista e povera e quella di quarant’anni fa socialista e povera… e anche come la condizione della donna rispetto al mondo maschile sia cambiata (o non lo sia…).
Nel finale per una quarantina di minuti abbiamo un’unica inquadratura su uno degli invalidi che con la famiglia (per 1000 euro da loro agognati) si presta a girare lo spot per cercare di evitare gli infortuni. Ovidius su sedia a rotelle cerca di raccontare come veramente si è infortunato (con notevoli responsabilità della ditta) ma i rappresentanti degli austriaci fanno in modo che praticamente risulti che è stata tutta colpa sua. Il tutto raccontato in modo allo stesso tempo esilarante ma fortemente accusatorio dell’ipocrisia delle aziende e delle istituzioni quando si parla di sicurezza sul lavoro.
Per finire un paio di perle vanno riportate. Tra le battute scurrili di Angela la più geniale è questa: “la vagina è bagnata come l’Inghilterra, divisa come la Corea, insenguinata come il Far West e le piace farsi fottere come la Romania”. L’altra invece riguarda il regista dello spot che parlando di come a volte la fortuna degli artisti è quella che siano morti i più bravi, dichiara: “se non fossero morti Goethe e Shakespeare chi mai pubblicherebbe Elena Ferrante?”. (voto 8).
Per quanto riguarda il capitolo product placement, a parte la citazione di praticamente tutti i social con Tiktok su tutti, la più divertente è quella per McDonald’s e Burger King preferiti a JFK perché il colonnello Sanders era un razzista. Poi Apple, Coca Cola e tante altre. Una tv Olivetti si vede nel filmato d’epoca e la citiamo per amor del vintage, mentre il regista cinefilo ci ricorda come il primo product placement nel cinema è stato per le fabbriche Lumiere con L’uscita dalle officine Lumiere e questo lo sappiamo bene, ma poi continua dicendo che prima di questo i Lumiere avevano girato una pubblicità per la senape Bornibus andata perduta e questo è già più raro saperlo.