Biopic anomalo quello che Edoardo De Angelis ha dedicato a Salvatore Todaro, comandante di sommergibile della Regia Marina Italiana. Nel suo Comandante (2023) il regista napoletano, almeno nella prima parte, lo trasforma in una visione personale, una ballata macabra che preconizza il destino dei marinai in partenza per la guerra nei monologhi interiori dei personaggi, militari e donne loro compagne o amiche. I monologhi scritti da Sandro Veronesi sono contro l’assurdità della guerra in cui giovani vengono mandati a morire per la follia dei potenti (dalle didascalie finali apprendiamo che su 119 equipaggi di sottomarini italiani impegnati nella seconda guerra mondiale, solo 12 sono tornati, gli altri si trovano nel fondo del mare con croci di corallo). Sono frasi un pochino ampollose ma poetiche e dolenti ben servite dall’inconfondibile stile di De Angelis che rallenta le sequenze facendole diventare quasi acquose ed eteree. Purtroppo quando il film arriva al suo clou, ovvero il salvataggio di naufraghi nemici dopo il bombardamento di una nave belga, operazione per cui l’eroico comandante verrà ricordato, il film si perda in retorica e in sequenze decisamente al limite del patetico (quella delle patatine fritte su tutte, quando l’orgoglio con cui Todaro/Favino rivendica la fratellanza dei popoli purtroppo scivola in un banale “volemose bene” di radice populista). Non che la regia si perda, le immagini restano sempre plumbee, claustrofobiche e sentite, ma sono i personaggi a mio parere “scritti” male.
Favino dal canto suo non fa nulla per uscire da questo scivolamento verso il mellifluo con una recitazione a sottrarre e troppo uniformemente dimessa. Così l’antieroe che salva i nemici contro gli ordini dei superiori sapendo di non poter mai tornare dalla moglie e dalla figlioletta appena nata e mai conosciuta (Todaro morirà in guerra nel 1942), da figura dolente e poetica diventa qualcosa d’altro, un personaggio meno “reale” e più da biopic dando, ad esempio, enfasi eccessiva ad alcuni avvenimenti come quando alla domanda “perché ci avete salvato, noi non lo avremmo fatto” risponde “perché sono italiano” che suona abbastanza beffarda (anche se fosse stata scritta per sollecitare gli italiani odierni a rendersi più empatici con gli stranieri) visto quello che in quel momento italiani come lui stavano facendo al mondo.
Comunque il film conferma le qualità registiche di De Angelis come conferma la forza cinematografica di Silvia D’amico (purtroppo in una parte, quella della moglie di Todaro, troppo corta) e il suo essere un “animale” da cinepresa; la camera non riprende l’attrice, è lei che la invade con la sua fisicità e la sua aggressiva espressività mediterranea. Un’attrice che il cinema dovrebbe utilizzare di più e meglio. (voto 6)
Product placement non presente.