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CINEMA
30 Aprile 2024 - 22:52

DIARIO VISIVO (Ha Gil-jong)

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Un regista coreano da recuperare, Ha Gil-jong
DIARIO VISIVO (Ha Gil-jong)

Nel 2013 il festival del cinema coreano di Parigi ha riscoperto il cineasta coreano Ha Gil-jong, autore in una decina d’anni (dal 1969 al 1979) di sei film che ne hanno messo in mostra una evidente libertà di espressione e una poetica personale. Morto purtroppo a soli 37 anni “Ha è una personalità fuori dal comune i cui film, realizzati sotto la dittatura, sono altrettante avventure contro la moralità e istanze libertarie dal lirismo commovente” (da un articolo di Vincent Malausa sui Cahiers du cinema del dicembre 2013 “La parata dei suicidi” da cui anche le altre citazioni virgolettate. Traduzione mia). In Italia mai stati editati (l’esordio è passato in una retrospettiva sul cinema coreano anni ’70 al Far East del 2012) ma ora alcuni si possono trovare facilmente su youtube con sottotitoli in inglese. Chi volesse invece approfondire la figura del regista trova a questo link, in inglese, una completa descrizione della sua vita e della sua opera https://harvardfilmarchive.org/programs/ha-gil

Il suo primo film Pollen of flowers (1972), ho già scritto, l’ho visto al Far East di Udine nel 2012 e ne ho già parlato qui.

Dopo l’eccezionale esordio Ha gira Sujeol (Fidelity, 1974) un film di genere sex & revenge con influenze da Hong Kong (la serie dei fantasmi cinesi) a cui il regista dà respiro epico. Un combattente torna da una lunga battaglia dopo dieci anni e come Ulisse è sicuro di ritrovare la sua Arianna in attesa. In effetti la moglie con la figlia lo accolgono nella loro casa con affetto ma non riescono a mascherare la loro tristezza. Infatti la felicità famigliare è pura illusione. Le due spariscono il giorno dopo e il protagonista ritrova un diario in cui la moglie ha raccontato cosa è successo a loro e a tutte le donne del villaggio. Il maestro del nostro, apparentemente uomo saggio e forgiatore di spadaccini, è diventato un tiranno che si serve di una banda di delinquenti e negli anni ha costretto la popolazione in condizioni di povertà assoluta. Le donne vengono violentate e drogate con non ben precisate sostanze psicotrope e la cittadinanza rischia di morire di fame tutti i giorni. Ha Gil-jong sfrutta questa trama piuttosto tradizionale in una esplosione visiva e sonora in cui la disperazione diventa fisica e l’epopea delle due donne, moglie e figlia, si consuma tra sabbia, sole, campi aridi, labbra screpolate, case in rovina e musica stridente ed inquietante e trova l’apice drammatico nella sequenza in cui la figlia allo stremo delle forze si carica sulle spalle la madre come Enea il padre. All’interno del palazzo del tiranno intanto si consumano riti orgiastici con sequenze pop-psichedeliche che ricordano il nostro Bava. (voto 7). Film in costume quindi senza product placement.

The march of fools (1975) “è un capolavoro poetico che naviga a vista tra commedia titubante alla Rozier e farsa di scherno” con un finale drammatico e melanconico con una delle scene più belle che ricordi nel campo della commedia romantica. Due ragazzi ‘migliori amici’, studenti di filosofia e persi tra fantasie e speranze in un mondo favoloso (dove si va per mare a cacciare balene) si iscrivono per un incontro al buio con altrettante ragazze. Si formano così due coppie traballanti, una delle ragazze è una ‘sassy girl’ che ricorda quella della commedia My sassy girl del 2001 e si trova bene con il primo dei due ragazzi di cui, nonostante gli neghi affetto fisico, ne diventa la migliore amica senza dargli speranze di futuro insieme. L’altra, invece, è una ragazza più posata indispettita dall’incapacità del ragazzo che le è capitato, sognatore, timido, incapace di sostenere un rapporto (come quando in una serata a due al pub si ubriaca pesantemente e viene da lei lasciato). Tra corse sfrenate per Seul alla ricerca di uno sfogo di vita, lezioni e vita goliardica di scuola, scampagnate e musica si sviluppa la voglia di vivere che (spoiler) si frenerà bruscamente nel finale di film con il suicidio del sognatore imbranato e la partenza dell’altro per tre anni di leva obbligatoria. La scena che ho citato all’inizio vede il tentativo di darsi un bacio (quel bacio sempre negato prima) tra il ragazzo che va a militare e che si sporge dal treno e la ‘sassy girl’ finalmente innamorata che non arriva alla bocca di lui. Interviene un poliziotto a sollevarla da terra per permettere l’unione delle labbra. Bellissima. Il film è stato tagliato e alcune scene di partecipazione a manifestazioni sono sostituite da azioni di… calcio e ciò perché la censura dittatoriale lo ha imposto. Resta comunque un film notevole, vivace e triste allo stesso tempo (voto 7). Una racchetta Dunlop spesso appoggiata alla spalla di uno dei protagonista è il principale product placement del film in cui troviamo anche Fanta, Coca Cola, Kodak, Fuji film, un orologio Frontier e una maglietta Jeans East.

The ascension of Han-ne (1977) è da un certo punto di vista pieno di fascino, dall’altro dispersivo arrivando a stemperare la tensione e la bramosia sessuale (pure sottopelle presente) che invece caratterizzava The pollen of flowers. Siamo in un paese di montagna, una piccola comunità chiusa, in cui vengono fatti riti propiziatori sciamanici. La comunità viene turbata (a causa dell’arrivo del “diverso”, dell’invidia e della gelosia, della paura di mettere in pericolo certezze e segreti) dall’avvento di un’eterea ragazza dal passato travagliato, scambiata per uno spirito perturbante, che trova in un essere solitario e infelice un’anima “gemella”. L’unione tra i due disturba la gente del villaggio, in primis il capo religioso che ne è evidentemente turbato. La narrazione che ha potenziale notevole per un’opera tesa e forte viene, come già evidenziato, annacquata dalle lunghe scene di danze e ritualità, sicuramente di una certa bellezza e importanza documentaria, ma non perfettamente inserite nella dinamica diegetica e da un paio di flasback in bianco e nero non particolarmente riusciti. Resta comunque opera etnologicamente e “psicologicamente” interessante ma non la migliore di Gil-jong Ha. Comunque, come scrive Vincent Malausa nell’articolo già citato, quello di Ha si conferma un cinema “dove solo i pazzi, gli idioti e i morti, nella loro immensa disperazione, hanno il diritto di sogni tranquilli” (voto 6,5).

L’ultimo film di Ha Gil-jong arriva in un momento di grande difficoltà per il regista, non riesce più a fare il suo cinema a causa di insuccessi di pubblico e della censura, beve molto e questo lo porterà alla morte giunta a soli 37 anni subito dopo l’uscita di Byung-tae and Young-ja (1979), seguito di The march of fools. Il film fu ancora una volta censurato e non ha la forza “politica” e ribelle del suo capolavoro del 1975. Quel che resta è una commediola romantica in cui Byung-tae si ritrova militare con il rapporto con Young-ja che prosegue un po’ instabile. La ragazza ha incontrato un dottore più anziano di lei con cui si fidanza nonostante abbia ancora un debole per Byung-tae. Per una ragazza sposarsi con un pari età che ancora non guadagna nulla è un azzardo che ne la sua famiglia ne quella di lui vedono di buon occhio e pare che Young-ja abbia scelto la stabilità economica che gli può dare il dottore. A questo punto il film diventa un’assurdità, che vorrebbe essere simpaticamente ironica, in cui i due pretendenti alla ragazza decidono di “giocarsela” in varie stupidissime sfide (tipo chi arriva primo in fondo ad un palazzo uno usando le scale e l’altro l’ascensore o chi arriva prima dalla ragazza in attesa di essere sposata uno correndo a piedi e l’altro andando in auto…), chi arriva primo se la impalma… mah. Restano alcune immagini di raffinata eleganza e di costruzione sopraffina che però non bastano a salvare il film così rimaneggiato. Per ironia della sorte, il film ottenne un buon riscontro di pubblico, quello che è mancato per alcuni dei suoi film più riusciti (Voto 5,5). Adidas e Sony il product placement del film.

STEFANO BARBACINI

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