L’incipit di Los delincuentes dell’argentino Rodrigo Moreno è uguale a quello di Apenas un delincuente di Hugo Fregonese, il suo esordio proprio in Argentina prima di trasferirsi ad Hollywood e, anche se poi il film di Moreno prende altre strade, fa capire come la cinefilia del regista ha una fondamentale importanza nel suo cinema.
Un impiegato di banca, Moran, è in burnout e davanti alla prospettiva di più di ventanni dello stesso, monotono e alienante lavoro, decide di rubare alla banca una somma di denaro che può permettergli di non lavorare più. Sa che verrà arrestato ma tre anni e mezzo di galera (con la buona condotta) a cui va incontro sono niente rispetto ai venticinque di cartellino timbrato tutti i giorni. Il problema ora è dove mettere i soldi durante questi anni di prigione per poterli recuperare a fine pena e decide di coinvolgere un collega, Roman, affidandoli a lui. I due però non hanno fatto bene i loro calcoli. In prigione non è così semplice vivere e per farlo, dopo essere stato accoltellato, a Moran tocca pagare una costosa mazzetta al ras dei detenuti. Roman dal canto suo viene sospettato con tutti i suoi colleghi e vede amici licenziati senza senso, altri a cui viene dimezzato lo stipendio e a lui stesso, nonostante la mancanza di prove, viene resa la vita impossibile in banca per “costringerlo” a licenziarsi.
Questa è praticamente la prima parte del film, più o meno la metà delle 3 ore e dieci di durata, un noir alleggerito da un’ironia di fondo che lo fa quasi commedia. La seconda parte, pur mantenendo gli stessi protagonisti, è invece un chiaro omaggio alla nouvelle vague francese anticipato dalle immagini di L’argent di Bresson anche se forse il principale riferimento è il primo Godard dato che Romero inserisce libri, letture, poesie, riferimenti musicali e cinematografici in questa seconda parte, come faceva il compianto innovatore francese.
La storia poi è truffautiana dato che i due, inconsapevolmente, incontrano e si innamorano della stessa donna, Norma, in circostanze che non sto qui a spiegare (intanto per dare un assaggio dell’ironia nel film, tutti i nomi dei principali personaggi sono anagrammi di Moran, ovvero Roman, Ramon, Norma, Morna, Namor). Norma darà ad entrambi buon sesso e una prospettiva di vita diversa, una libertà dalle costrizioni della società al di là del denaro. Darà loro il coraggio di prendere altre strade, fare l’amore, arte (è componente di una troupe cinematografica), vivere la comunità e correre liberi tra ruscelli e la pampa.
Dove sta la libertà? Cantano i Pappo’s Blues, il cui LP passa di mano in mano durante tutto il film, verso la fine. Naturalmente Moreno la fa facile ma dopotutto Los delincuentes è un film (anzi due bellissimi film) e quindi il sogno e l’utopia per eccellenza. Sì perché i film esistono ancora nonostante il regista nel film, Ramon, dichiari di essere un videomaker perché il cinema è morto. Ma cosa fa un videomaker? Fa film… Il cinema è morto, viva il cinema! (voto 7,5).
Calcolatrice Texas Intruments, pubblicità di Nescafé, una sveglia SONY, Coca Cola e l’hotel a una stella Brisa, product placement è questo ma da notare che le scene del film di Bresson sono quelle dove appare in primo piano Paris Match, quindi si potrebbe definirlo un metapiazzamento!