Si comincia da Marey, prima del cinema.
Si comincia dagli albori.
Holy Motors è un viaggio in Limousine attraverso un secolo e rotti di cinema. E’ il regista che assieme a noi spettatori (ci siamo tutti all’inizio del film, c’è il “dormiente” Leos Carax lui-meme e ci siamo noi, tutti gli spettatori che vogliono partecipare, in effige mentre seduti in sala ci guardiamo lo schermo) si addentra nel/nei film. E’ lui che ha la chiave e ci aiuta ad iniziare il percorso.
Il nostro Dante che ci introduce negli inferi della passione cinematografica è Denis Lavant, da sempre feticcio e vero avatar del regista, che interpreta 11 differenti personaggi, e con lui entriamo nella sua Limousine. Qui è Oscar (che è anche uno dei veri nomi di Carax nonché quello del più importante premio cinematografico e quindi il gioco è sempre più autoreferenziale e cinefilo) che a primo acchito ci pare un normale uomo d’affari, neanche stessimo per vedere un remake folle del già pazzesco Cosmopolis.
In verità comprenderemo subito dal Virgilio della situazione, l’autista interpretata da Edith Scob (ovvero un’icona rappresentante il cinema stesso con la sua forza evocativa dovuta al passato di volto lacerato e lacerante, attrice carismatica e di culto che alla fine del film indosserà nuovamente la maschera di “Occhi senza volto” dell’altro grande regista cinefilo Georges Franju) ci svela il bizzarro mestiere di Oscar che è quello di interpretare personaggi che vanno ad interagire con le persone reali (?) e si inseriscono nella vita come questa fosse un infinito set dove tutti noi svolgiamo un ruolo. Un enorme reality, un lungo, interminabile film.
Di volta in volta Lavant si trasforma dentro la sua bianca Limousine e intervalla incarnazioni ai propri bisogni corporali di persona vera (?), tra un’interpretazione e l’altra ha la sua pausa pranzo, prende le sue medicine, incontra gente e ci regala anche un entracte in cui suona una fisarmonica assieme ad altri musicisti dando una netta dimostrazione su come il vissuto di Oscar assomigli, se non collida, ad uno spettacolo cinematografico con tanto di primo e secondo tempo.
Attraversando generi cinematografici e stili registici in un felliniano assemblaggio di idee visionarie, il protagonista si trova ad incarnarsi di volta in volta in una vecchia mendicante, in un attore di scene per il 3D con sensori digitali attaccati al corpo mentre danza/lotta con una contorsionista (così subito chiudiamo il cerchio, il viaggio percorre gli inizi ed arriva ad oggi, dal muto a Cameron), in un padre che sta morendo assistito dalla nipote, in un killer che uccide e viene ucciso, in un coprotagonista di commedia musicale dove Kylie Minogue è la controparte canterina (è questa un’importante scena su cui torneremo), un padre probabilmente separato che ha un difficile rapporto con la figlia…
Capitolo a parte merita però l’interpretazione di un irresistibile quanto irrefrenabile personaggio fatto di puro istinto animalesco che senza mai fermarsi divora qualsiasi cosa gli arriva a portata di bocca (dai fiori alle…dita umane) e rapisce una modella (Eva Mendes che carica sulle proprie, magnifiche, spalle il carico di un secolo abbondante di fascino femminile) portandola nelle fogne: fantasma dell’opera o gobbo di Notre Dame? Il personaggio è lo stesso che già Carax aveva proposto nell’episodio, delirante, del film collettivo “Tokyo!” intitolato Mr. Merde!
Un caleidoscopio di invenzioni e reinvenzioni, di amore per il cinema e di visionarietà anarchica ma allo stesso tempo rispettoso dell’immaginifico cinematografico e non solo (circense, pittorico, teatrale…).
Resteranno indimenticabili le sequenze del “balletto” in tute di latex e sensori degli attori “virtuali” e la scena di Mr. Merde mentre riposa nel grembo della Mendes in un inquadratura dal sapore rinascimentale con Lavant nudo in…erezione esibita.
Quando incontra la Minogue, Oscar è in quel momento se stesso che incrocia il suo passato, l’amore perduto della sua vita. La Minogue infatti è nel film una sua ex che fa lo stesso lavoro di Oscar, ovvero sta interpretando una suicida. La scena è importante perché ci fa capire come lo smisurato amore per il cinema, come la spettacolarizzazione dell’esistenza seppure abbia un fascino in grado di farci vivere varie esistenze migliori della nostra, darci emozioni altrimenti difficilmente replicabili, rischia anche di farci perdere il senso della vita vera, di non farci capire quello che veramente vale in ciò che ci circonda.
Noi umani siamo in grado di produrre cose eccezionali in campo artistico e tecnologico ma poi lasciamo che siano le macchine, i nostri prodotti, a sopravanzare le nostre esistenze (emblematico lo scherzaccio finale in cui tutte le limousine parcheggiate in garage commentano deluse l’umanità).
Holy Motors è stato presentato sia al Torino Film Festival 2012 che al NIFF 2012 e a giorni uscirà sugli schermi italiani.
Product placement: BMW, CANON e ADIDAS tra le marche più famose presenti, insolita la citazione di armi CARACAL e buona visibilità per i grandi magazzini LA SAMARITAINE.