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CINEMA
28 Giugno 2024 - 01:07

FESTIVAL DEL CINEMA RITROVATO DI BOLOGNA 2024

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Giorno 5
FESTIVAL DEL CINEMA RITROVATO DI BOLOGNA 2024

Inizia la quinta giornata di Festival del Cinema Ritrovato con i primi film di Sergei Paradzanov quando il regista era in Ucraina e cominciava a lavorare per gli studi cinematografici Dovzenko di Kiev. Il suo esordio, Andrijes (1954) è la trasposizione di una fiaba popolare in cui un giovane pastorello deve combattere contro “L’uragano nero”, uno stregone che rapisce uomini, donne e bestie facendole diventare statue inanimate. Per recuperare il suo gregge, con l’aiuto di un eroe popolare e del suo flauto magico, dovrà affrontare un demone delle piogge, un gigante e altri pericoli. Molto bello visivamente, ricorda i lavori di Aleksandr Ptushko, si potrebbe considerare la risposta sovietica agli “orientalismi” hollywoodiani dedicati ad Aladino e Sinbad il marinaio. Insieme ad Andrijes è stato proiettato un cortometraggio, Dumka (1957) in cui il regista riprende varie interpretazioni del coro di Dumka di canzoni popolari e inni al partito con stile geometrico e molto curato intervallato a immagini pastorali o di statue di protagonisti della rivoluzione descrittive delle varie canzoni. Resta impresso il canto finale che si conclude con un “russi e ucraini sono destinati ad essere sempre amici” da pelle d’oca visti gli avvenimenti attuali. (Voto 6 ad entrambi).

Il secondo film, visto nella magnifica struttura del cinema Modernissimo, è l’assai deludente (perché nulla ha a che fare con il Paradzanov “maggiore” che tutti dovrebbero conoscere) musical kolchoziano su commissione dello studio di Kiev, in cui il regista si accoda ai lavori di Aleksandrov e Pyryev nel genere, ovvero divertenti e popolari raccontini che si svolgono tra i campi dei collettivi di lavoro tra canzoni, sketch comici e storie amorose. Qui si racconta dell’amore contrastato tra la bella segretaria del kolchoz e il miglior lavoratore dello stesso, un meccanico “che fa lo sbruffone e il bullo”. All’arrivo di un soldato dal carisma e dalle capacità anche superiori scoppierà una rivalità tra i due, anche per il cuore della bella segretaria tra malintesi e sfide su un campo da calcio. Infatti viene commissionato al kolchoz di creare attività sportive nei momenti liberi, tra cui appunto una squadra (piuttosto sgangherata) di calcio. Le gag riguardanti lo sport sono a livello da commedia erotica italiana (senza l’erotismo) tra Vitali e Montagnani… The first lad (1958) è il titolo del film che comunque ebbe notevole successo popolare (restando il più visto, in Unione Sovietica, del nostro regista). (voto 5)

L’ambientazione delle vicende di Pensione Mimosa (1935) di Jacques Feyder (che si conferma notevole regista anche con il passaggio al sonoro dopo essere stato una delle “star” del cinema muto francese degli anni Venti) è insolita. La pensione Mimosa si trova di fronte al Casinò di Nizza ed è gestita da una non più giovane ex-cantante lirica Louise (Francoise Rosay, attrice allora famosissima e moglie del regista) e dal marito che è anche impiegato di punta al Casinò. I due ospitano fondamentalmente i giocatori del Casinò con i loro drammi vivendo una vita piuttosto agiata con i proventi da loro ottenuti. I due hanno in affido un bambino il cui padre è in prigione e lo crescono cercando di non farlo deragliare dalla retta via nonostante le tentazioni dovute al mondo che lo circonda. Quando il padre esce e recupera il figlio portandoselo a Parigi per la coppia è un dolore immenso. Negli anni continueranno a supportarlo a distanza finchè un giorno, quando il ragazzo è ormai adulto, Louise decide di andarlo a trovare per vedere che vita fa. Lo trova pesto perché è stato appena malmenato dagli scagnozzi di un delinquente locale, vive in un hotel di dubbia fama tra giocatori d’azzardo e ladri (lui stesso si occupa di furti d’auto e della loro rivendita) ed è innamorato perso di una “donna perduta” che è anche la donna di Romani, il boss. Louise convince il figliastro Pierre a tornarsene a Nizza per una vita più… normale ma questo, pur accettando perché l’aria a Parigi è diventata malsana, si porta a dietro anche Nelly (Lise Delamare), la femme fatale in fuga da Romani. Louise che ama Pierre forse anche al di là dell’amore materno, architetta un piano per far liberarsi della donna con cui è in contrasto accusandola di voler rovinare il figliastro con la sua frivolezza e il suo amore dei soldi che la porta ad accompagnarsi a uomini ricchi in nottate perlomeno sospette passate fuori casa, senza Pierre. Finirà in tragedia, l’amore materno non basterà a sconfiggere l’amore “malato” per l’altra donna. Il film è condotto magistralmente da Feyder sotto il profilo della costruzione psicologica, sempre in understatement ma pieno di tensione sottocutanea, e la vicenda principale non tralascia il discorso generale sul potere del denaro, sulle vite messe in gioco davanti ad una roulette (all’inizio il marito di Louise insegna a dei giovani croupier come devono comportarsi se qualche giocatore si suicida come se fosse una cosa di normalissima routine), sulle vite vendute per una vita di lusso, spesso utopica. (Voto 7+) Citroen, Renault, Talbot le auto che si vedono nel film il cui product placement contempla anche Cinzano e Martini (all’interno di un locale), Micheline e Panhard nel garage in cui lavora Pierre e un porto Santiago “del 1913” per festeggiare.

Film francese di un Anatole Litvak che gira ancora con l’inventiva e l’approccio sperimental-teorico del periodo d’oro del cinema muto, quello di pochi anni prima del 1932, anno di Coeur de Lilas. Carrellate anche aeree, piani sequenza, sovraimpressioni, ricostruzioni ambientali realistiche dei bassifondi parigini, montaggio di primi piani di visi “giusti”. Tutto un armamentario che poi il regista un po’ perderà con la standardizzazione hollywoodiana. Il film inizia con la scoperta da parte di un gruppo di bambini che giocano alla guerra (ma poi passano a guardie e ladri perché la guerra non piace a nessuno) del cadavere di un uomo. Come spesso accade viene accusato un poveraccio dell’omicidio. Il poliziotto André (André Luguet dalla notevole somiglianza con Giancarlo Giannini…) crede l’uomo innocente e chiede ai superiori di andare ad indagare nei bassifondi in un hotel di dubbia fama dove si trova la prostituta Coeur de Lilas (Marcelle Romée) che pare abbia avuto a che fare con il morto pur avendo un alibi. André entra in contrasto con un bullo dal carisma evidente (Jean Gabin come ma prima di Pepé Le Moko) che vuole Lilas per sé e trova nel poliziotto (che si presenta come operaio) un rivale. In effetti André si innamora di Lilas e perde di vista il suo compito, smettendo di indagare e andandosene assieme alla donna ad amoreggiare sul fiume. Fino a che la sua identità non viene scoperta e quando anche i suoi superiori cominciano a chiedersi cosa lui stia facendo. Litvak è sempre interessato alla parte povera della popolazione, i suoi eroi, anche nei film visti al festival, sono tutti ladri e ricettatori (Amazing dr. Clitterhouse), camionisti (La città del peccato), musicisti vagabondi (Blues in the night), operai metalmeccanici (La disperata notte) e, quando sono dei nobili, si ritrovano a vivere in una topaia e a cercar lavoro da domestici per sopravvivere (Tovarich); ma mai come in Coeur de Lilas la ricostruzione della gente che vive nelle parti povere della città viene così ben rappresentata, con realismo estremo, dal regista. Il film poi è anche a tratti musicale con alcune canzoni cantate da Frehel, Jean Gabin e financo Fernandel in un cameo nel finale. Da rimarcare “La mome de caoutchouc” dal testo particolarmente sboccato. Il tutto crea un contro-glamour di notevole fascino. (voto 7,5). Nella bettola in cui si ritrovano i protagonisti del film troviamo anche il product placement tipico del cinema francese, Pernod, Byrrh, Viandoz, ma anche Rossi e Martini. Per rivestire Lilas, André si reca Chez Renée. L’organetto di un mendicante è prodotto da Limonaire Freres.

Continua a stupire positivamente la qualità del cinema praticamente sconosciuto in Italia del giapponese Kozaburo Yoshimura, con Chijo (On this earth, 1957), film a colori, contrariamente ai precedenti visionati al Festival del Cinema Ritrovato 2024, che esplora ancora le differenze di classe e le difficoltà di sopravvivere in un Giappone in cui tutto è commisurato al potere e al denaro. Siamo nei primi decenni del secolo e il bravo studente Heiichiro e la madre vedova, per poter permettere al ragazzo di finire gli studi, sono costretti ad accettare un lavoro da sarta per lei e ad andare a vivere in una dependance di un locale per geishe. Qui la vita dello studente si interseca con quella di una giovane apprendista geisha che finirà venduta ad un ricco uomo d’affari senza scrupoli, a quella di un amico che ha dovuto abbandonare la scuola per diventare operaio e adesso ha aderito al sindacato per protestare contro lo sfruttamento dei lavoratori, e a quella della figlia di un industriale (quello contro cui si fa sciopero) che si innamora, contraccambiata, di Heijchiro, un amore senza speranza perché lei è destinata ad uno del suo ceto sociale. Passionale e politico, poetico e lacerante soprattutto nella scena finale. Un film contro le ingiustizie in una società in cui si trova più scandaloso andare a portare da mangiare a chi fa sciopero che non possedere un bordello! (voto 7)

Nella piazzetta dedicata a Pasolini che si trova davanti ai due cinema del complesso del Lumiere di Bologna, tutti gli anni del Festival del Cinema Ritrovato vengono proiettate pellicole del periodo muto con un proiettore a carbone (come quelli di inizio secolo XX) e con musica dal vivo. Solo questo garantisce un interesse alla visione. Poi c’è anche il film che quest’anno era Bily Raj (White Paradise del 1924), film cecoslovacco di Karel Lamac che ne fu anche interprete assieme alla moglie (nella realtà) Anny Ondrakova, poi conosciuta come Anny Ondra nel resto d’Europa dove fu piuttosto attiva. La storiella lascia il tempo che trova: una coppia gestisce una locanda in mezzo al nulla trattando da schiava la giovane Nina (Ondra) che vive di stenti e sogni. L’arrivo di un fuggitivo dalla prigione (Lamac), fuggito solo per andare ad incontrare la madre morente, cambierà la vita della ragazza anche perché si scopriranno alcuni documenti che non solo serviranno a far riconoscere Lamac innocente del crimine per cui fu messo in prigione, ma anche a testimoniare che la locanda era di proprietà di Nina che le fu ingiustamente sottratta. L’amore scoppierà e trionferà tra i due. Quello che piace del film invece è l’ambientazione invernale, i due che si aggirano per spazi innevati e cunicoli sotterranei e l’interpretazione che ricorda lo stile triste-ingenuo-infantile e pieno di grazia tipico di Lillian Gish della Ondrakova. (voto 6-)

STEFANO BARBACINI

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