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CINEMA
27 Giugno 2024 - 01:15

FESTIVAL DEL CINEMA RITROVATO DI BOLOGNA 2024

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Giorno 4
FESTIVAL DEL CINEMA RITROVATO DI BOLOGNA 2024

Giornata al Festival del Cinema Ritrovato di Bologna 2024 di visioni dedicate principalmente alla retrospettiva su Anatole Litvak con ben tre film in agenda. Il primo è Tovarich (1937), spassosissima screwball comedy che fa parte del filone di film che Hollywood ha dedicato all’arrivo di aristocratici russi in fuga dalla rivoluzione sovietica e ai funzionari dell’Unione Sovietica che cercano di dialogare con i politici e gli uomini di affari occidentali. In questo caso abbiamo una coppia formata da Charles Boyer e Claudette Colbert che interpretano un ex principe e una granduchessa parente dello zar che vivono da emigrati in un appartamento fatiscente e che mangiano grazie ai furtarelli di lei (in realtà furti ben conosciuti dall’intelligence francese che… lascia fare). Costretti a “trovarsi un lavoro” decidono di rispondere ad un annuncio per un maggiordomo e una cameriera presentandosi sotto falso nome con come referenza un passato servizio presso… se stessi. Assunti da una coppia di ricchi francesi (lui è un banchiere) con due figli adolescenti, i due affascineranno la famiglia con le loro maniere aristocratiche (ben più affettate ed eleganti che non quelle dei loro datori di lavoro) e con le loro tradizioni russe. Li affascineranno a tal punto che la famiglia piano piano si “russifica” e i due uomini (padre e figlio) si innamoreranno della Colbert (e in effetti è difficile non farlo) e le due donne (madre e figlia) dell’altrettanto seducente Boyer. La commedia è tutta incentrata tra i contrasti delle usanze russe e della “vera” nobiltà tradizionale nei confronti dei nuovi ricchi (sulla carta francesi ma il modello è quello dei nuovi ricchi americani) ed esplode quando in una cena finale verrà invitato il commissario bolscevico Gorotchenko (lo “Sherlock Holmes” Basil Rathbone) che svelerà la loro vera identità e il loro passato fatto di torture, sangue e tradimenti. La scrittura del film è geniale, con battute al vetriolo che però non propendono per una parte ben precisa (come le posizioni manichee prese in altri film del genere) ma colpiscono sia i “russi bianchi” che i bolscevichi senza risparmiare neppure gli occidentali (leggasi americani). (Voto 7) Pur ambientato in una Parigi ricostruita in studio, il film presenta product placement decisamente americani (andrò a comprarmi un vestito da Klein dice la Colbert, vi porterò a mangiare da Moscowitz il miglior ristorante romeno del mondo che è in America).

Abbiamo poi il famosissimo La città del peccato (1940), dove quattro diversi modi di rapportarsi con il sogno americano a New York vengono rappresentati. Due fratelli Danny (James Cagney) e Eddie (Arthur Kennedy) si barcamenano in un quartiere povero della metropoli, uno fa il camionista ma è un pugile potenzialmente fortissimo, l’altro un compositore che non riesce a trovare la sua strada che lo dovrebbe portare alla fama e alla scrittura della sinfonia definitiva di New York. Poi vi è Peggy, fidanzata di Danny che ha capacità nella danza e viene notata da Anthony Quinn, ballerino famoso nei locali notturni, che la trascina con sé in cerca di gloria. Infine vi è l’amico d’infanzia Googi (Elia Kazan) che il suo sogno americano lo cerca nella malavita, diventando un gangster piuttosto potente in città. In realtà mentre le aspirazioni degli altri tre sono assolutamente volute, Danny non vorrebbe intraprendere la carriera di pugile perché a lui basterebbe una vita tranquilla con il suo stipendio da camionista insieme a Peggy. Ma la voglia di fama di lei (che sacrificherà per questo l’amore) e le ristrettezze economiche che non permettono al fratello di avere la carriera che merita, spingeranno Danny ad intraprendere la carriera professionistica fino ad arrivare a combattere per il titolo perdendo solo per un trucco illegale dell’avversario che lo porta alla quasi cecità. L’unico che riuscirà a coronare il proprio sogno sarà Eddie che lo otterrà solo grazie al sacrificio di Danny, mentre Peggy perderà, pentita, oltre all’amore anche la fama (che rischia di diventare fame) e Googi per vendicare Danny perderà la vita. Un film dalle grandi pretese che ha qualche difetto di strascicamento patetico e che si appoggia sull’interpretazione di Cagney che parte con la solita sfacciataggine da bullo, facendo fatica a rendere il lato sentimentale, per poi diventare una maschera tragica nel finale calandosi alla perfezione nel ruolo dell’ex-pugile mezzo cieco e triste per la mancanza dell’amore di Penny (voto 6/7). Vari locali, hotel e quotidiani americani sono citati e mostrati nel film.

Il terzo film visionato è l’ibrido Blues in the night (1941), una commedia musicale che si trasforma in noir melodrammatico. Cinque musicisti e una cantante si incontrano in locali di basso lignaggio e, cercando di evitare di far la fame, formano una band swing jazz andando a suonare in giro per l’America viaggiando “illegalmente” sui treni. Qui incontrano un fuggiasco dalla prigione, Del, che li prende in simpatia e li porta in un locale chiamato The Jungle dove vi sono tre complici della rapina per cui lui si è preso dieci anni e loro niente, anzi si sono fatti fuori anche la sua parte di denaro. L’uomo riprende in mano la situazione trasformando il locale metà in night con musica (fornita dai nostri musicisti che si trovano bene in questo posto strano perché sono amici e “uno per tutti, tutti per uno”) e metà in bisca clandestina. Le cose sembrano andar bene un po’ a tutti finché le mire della femme fatale interpretata da Betty Field, attrice teatrale e hollywoodiana di secondo piano che qui però affronta bene il ruolo della fatalona immorale, non trascina via dagli altri il leader della band, Jigger per allontanarsi da Del (che ne ha capito in passato la pericolosità e non vuol avere più niente a che fare con lei) e per avere una vita migliore. Jigger innamorato perso si fa prendere in giro da lei che dopo un po’, annoiata, lo pianta per andare in cerca di uomini più ricchi e lo lascia al suo destino che lo farà diventare dipendente dall’alcol, senza un soldo e con danni psicologici (non riesce più a suonare). Recuperato dagli amici della banda e rimesso in sesto dovrà fare i conti ancora con la Field che torna per regolare i conti con lui e Del in un finale di sangue, follia e morte. Un vero “blues in the night”. Litvak dà il meglio nel finale noir e nella parte in cui inscena gli incubi della mente deragliata di Jigger. (voto 7-)

Recupero di un mediometraggio di Amir Naderi in sala Jolly del Festival del Cinema Ritrovato 2024, Waiting del 1974, un piccolo gioiellino di questo autore della nouvelle vague iraniana che si distingue da altri perché è il più attento alla qualità fotografica delle riprese e il più “spettacolare”. Questo visivamente perché, soprattutto in questo caso, in realtà il racconto è molto semplice, la crescita “carnale” e la scoperta della bellezza da parte di un adolescente. Una ciotola brilla alla luce, con questa il giovane viene mandato dalla madre a prendere il ghiaccio in una casa vicina, qui solo una mano esce da una porta per prendere la ciotola, una mano femminile che per il ragazzo rappresenta l’attrazione sessuale, vorrebbe toccarla ma non osa e Naderi ci restituisce bene le pulsioni sessuali con il fiato che annaspa, il corpo che si scuote, il bisogno di trangugiare acqua gelata e calmarsi. Questo si ripete per alcuni giorni, praticamente senza parole, mentre i turbamenti del giovane si mischiano ad una processione e a riti tradizionali tra tortore e cavalli bianchi in una felice combinazione figurativa che ricorda Paradzanov a cui pure è dedicata una sezione al festival. (voto 7,5)

Poche parole su Die seltsame geschichte des Brandner Kaspar  (1949) della sezione Black Heimat, quindi ancora monti, questa volta della Baviera, guardie forestali e bracconieri, una donna che amano in due e un vecchio cacciatore che incontra la morte nella persona di un vecchio Boandelkramer (appunto la personificazione della morte come viene creduta nel folklore bavarese) e cerca di ritardarne la venuta, non sfidandola a scacchi come in Il settimo sigillo, ma facendola ubriacare con grappa di lampone ed imbrogliandola alle carte. Interverrà il Comitato Centrale del Paradiso capitanato da San Pietro a rimettere le cose a posto e il vecchio cacciatore converrà che il Paradiso come è, è meglio della vita normale. Un pastrocchio che vorrebbe essere divertente ma è solo puerile, con il vecchio che impersona la morte che sembra uno dei personaggi interpretati da Panariello nei suoi sketch (a me Panariello non fa impazzire e questo film ancora meno) (voto 5--). Product placement per la Paulaner.

Per la retrospettiva su Gustaf Molander ho visto il muto del 1925 The Ingmar Inheritance dalla saga Jerusalem di Selma Lagerlof. L’eredità di Ingmar sarebbe la fattoria che, dopo esser stata di proprietà per anni della famiglia Ingmarsson, piena di debiti non è stata ereditata dal legittimo discendente ma dal nuovo marito della sorella vedova. Finirà poi per diventare rifugio-sacrario del predicatore Helgum appena tornato da Gerusalemme, predicatore che sta portando gran parte della cittadina a convertirsi al suo credo. Dopo varie vicissitudini finirà che per poterne tornare in possesso Ingmar accetterà di sposare la figlia di un ricco possidente ripudiando l’amore che ha per Gertrud a cui aveva giurato fedeltà e a cui aveva fatto promesse di un futuro insieme. Gertrud, la sorella di Ingmar con marito e figlio e buona parte del paese partiranno verso la Terra Promessa di Gerusalemme con i loro averi a seguito di Helgum. Gli interessi verso romanzi che si interrogano sulla fede da parte di Molander, verrà poi confermata con la trasposizione di Ordet, ma già qui abbiamo molte attinenze con quel film a partire dalla figura di Helgum (con l’inquietante volto di Conrad Veidt) che è un’anticipazione di quella di Johannes di Ordet, e anche qui vi sarà un miracolo, la sorella di Ingmar riacquisterà l’uso delle gambe che erano paralizzate. Tormenti religiosi, desiderio di coltivare la propria terra, quella dei propri avi, interventi “divini” (Gesù che appare a Gertrud) e di spiriti degli antenati (che aleggiano nella notte di tempesta e chiamano Ingmar a lottare per la fattoria), un film complesso che visivamente solo in alcuni momenti (la sequenza della tempesta principalmente) mette in luce le capacità del regista. (voto 6). Product placement della birra Pilsner.

STEFANO BARBACINI

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