Processual duro e puro quello che Cedric Kahn ha licenziato nel 2023, poco visto in Italia ma molto apprezzato dalla critica, Il caso Goldman. Il regista ci ha tenuto a ricreare il processo a Pierre Goldman come se fosse un vero processo e non un film. Ha convocato un centinaio di comparse per riempire i banchi dell’aula (e questi erano liberi di reagire come si sentivano alle testimonianze e agli interventi, multipli, di Goldman alla sbarra) e ingaggiato attori poco noti per le parti principali, ovvero il giudice, gli avvocati di accusa e difesa, i testimoni e Goldman stesso, che invece dovevano recitare con precisione gli atti giudiziali riportati in sceneggiatura.
Ma chi era Goldman? Avventuriero di estrema sinistra, rapinatore di negozi e farmacie, rivoluzionario sbandato e puttaniere, ebreo polacco antirazzista, “amico dei negri perché in quanto ebreo anch’io sono un negro”, fiero dei genitori emigrati e resistenti ma pentito di essere stato figlio ingrato, instabile psicologicamente, soggetto ad attacchi di rabbia, capace di scrivere un autobiografia di grande interesse che ha fatto riaprire il suo caso dopo che era stato condannato alla ghigliottina (siamo alla fine degli anni ’70 del Novecento e la pena di morte in Francia è stata tolta nel 1981), appoggiato da personalità vicine alla sinistra tra cui Simone Signoret, forse innocente e forse no di omicidio di due donne durante una rapina ad una farmacia.
Durante il processo è evidente l’insofferenza di Goldman nei confronti della polizia che definisce razzista in toto, nei confronti dell’avvocato accusatore che accusa di fascismo, dei testimoni che lo accusano, secondo lui corrotti dalla polizia, ma anche nei confronti del proprio avvocato, Kiejman che definisce “ebreo da salotto”. “Lotta contro i fantasmi (…) L’antagonismo tra Kiejman e Goldman mi tocca, perché questo rappresenta i due modi di allontanarsi dalla storia: Kiejman è l’ebreo resiliente, che ha trasformato il suo passato in integrazione, in ambizione, e Goldman l’ebreo maledetto, che non ne esce. Queste due tendenze coabitano anche nella mia famiglia [Kahn è ebreo ndr], con una parte di autodistruzione che si trasforma di generazione in generazione” (Intervista a Cedric Kahn di Fabien Baumann e Jean-Dominique Nuttens su Positif 751).
Quindi un film tutto (o quasi) girato in una stanza, con un processo che alla fine vedrà assolto Goldman dall’accusa di omicidio (in effetti prove non ce n’erano, solo testimonianze dubbie) e condannato a 12 anni per le rapine poi ridotti a 6, che evita l’accademismo con un montaggio intelligente, la felice intuizione di lasciar reagire il pubblico di pancia, l’altrettanto felice scelta degli attori (su tutti Arieh Worthalter come Goldman e il grande attore polacco Jerzy Radziwilowicz nei panni di suo padre) e la capacità di vedere nella complessa figura di Goldman un concentrato dei conflitti del tempo, l’estremismo di sinistra, la repressione di destra, le ferite di una guerra antisemita appena conclusa, l’emigrazione in Francia dei fuggitivi dalla dittatura comunista, la lotta di classe.
Un paio di anni dopo il processo, Goldman, verrà ucciso in circostanze non ben definite per cui si parla dei GAL (Gruppi antiterroristi spagnoli) o addirittura dei servizi segreti francesi. Insomma un personaggio che lascia molti lati oscuri fino alla fine. (voto 6/7)