Un bambino assiste all’ omicidio di un genitore per mano di un malato mentale. Anni dopo le morti ritornano ricoinvolgendo il giovane nella vicenda.
Sembrerebbe il soggetto di Profondo Rosso. In realtà si tratta di Non ho sonno, il film che nel 2001 vede il ritorno del maestro al thriller anni ’70 (ne abbiamo parlato a suo tempo in Dy's Chronicles, il magazine del product placement appena tornato completamente rinovato) dopo la profonda crisi stilistica attraversata per tutti gli anni ’90.
Non ho sonno non è solo un bel film, ma si inserisce di diritto nei capolavori di Argento (la scena dell’omicidio sul treno, spettacolare e nello stesso tempo carica di suspense, è di gran lunga la migliore scena di omicidio vista al cinema negli ultimi anni).
Dicevamo Non ho sonno ricalca Profondo rosso e non solo nelle premesse, ma per tutto lo svolgimento della storia.
Casa “infestata” torinese dove si cela un mistero, un’antica filastrocca infantile, il cimitero, due investigatori casuali coinvolti sentimentalmente,Gabriele Lavia (e questa è la migliore), le false piste, e come se non bastasse il sangue che scorre per la casa sui titoli di coda come se l’orrore non fosse ancora finito e ci si dovesse aspettare un prolungamento dell’incubo, esattamente come succedeva per il sangue della Calamai nel quale si rispecchiava Hemmings sui titoli di coda di Profondo Rosso.
Neanche gli omicidi sono immuni dal remake. Una prostituta viene uccisa mentre implora dal finestrino di un treno (come non ricordare la medium Helga che a sua volta, come la prostituta in questione, aveva scoperto chi era l’assassino), una ballerina affogata nella fontana (fortunatamente non bollente come quella riservata alla Calandra) e persino lo storico omicidio di Giordani,
con manichino e faccia spiaccicata sulle pareti e poi trapassata da tagliacarte viene risparmiato, anzi suddiviso ed utilizzato per quattro omicidi differenti. Unico personaggio innovativo rispetto all’originale è quello dell’ispettore in pensione Moretti che però
rappresenta un altro personaggio della mitologia argentiana: il detective per “hobby” che aiuta il protagonista, che più che a Giordani ricorda Arnò de Il gatto a nove code o Arrosio di 4 mosche di velluto grigio.
In questo “remake” manca però una cosa importante: lo stacco product placement.
Coca-Cola in Profondo Rosso aveva dato un’ottima prova recitativa apparendo nelle scenette comiche contenute al suo interno
e che Argento utilizzava per allentare la tensione dello spettatore prima di colpirlo nuovamente allo stomaco.
Giusto per citarne un paio come si può non ricordare il primo incontro fra Mark David e la svalvolata madre di Carlo che voleva a tutti costi offrirgli la Coca-Cola, o il commissario Calcabrini ed il suo vice (autentiche macchiette incapaci) mentre litigano con il distributore della Coca-Cola all’interno del commissariato.
Ora la lattina si limita a comparire durante uno dei momenti di “stacco” che però (ed è questa l’unica pecca del film) sono purtroppo imperniati su discorsi esistenziali.
Se la partecipazione di Coca-Cola avviene in un momento di inevitabile caduta narrativa, Fiat riesce invece a rilanciare e a
sostituire gli splendidi siparietti che avevano per protagonista la 500 scassata della Nicolodi con una serie di situazioni “serie” e
di inseguimenti che hanno come protagonista una perfetta Lancia Lybra dotata di ogni confort, compreso ovviamente il GPS. I
comprimari non si esauriscono qui, ma preferiamo segnalare due casi che sospetti che danno origine ad interpretazioni parallele.
Il film è un film sulla birra. La compagnia e l’ambiente che frequentano i protagonisti è giovane, e, nonostante gli omicidi, vitale. È
quindi forse giusto che Coca-Cola, nelle intenzioni del regista, faccia solo una comparsata lasciando il campo libero a boccali di birra che vengono trangugiati allegramente per tutto il film. Il tutto il film le birre sono rigorosamente unbranded (a parte mezzo logo di sfuggita riconoscibile solo da intenditori, cioè la Monchshof, e giustamente, visto che ad un certo punto qualcuno ha avvelenato una birra per tentare di far morire uno dei giovani protagonisti.
Detto questo, quello che però colpisce e che non rimane inosservato è il nome del vecchio saggio Von Sidow che guarda caso si chiama come la più aromatica e classica delle birre italiane: Moretti. Se il teorema dovesse essere confermato, la strategia di Moretti (Heineken) potrebbe risultare azzeccata, essendo riuscita ad abbinare il suo nome ad un vecchio saggio prodigo di
consigli, come del resto è il celeberrimo uomo coi baffi e, d’altra parte, avendo i film d’Argento una distribuzione mondiale, la scelta si inserisce anche nella strategia di brand americana dove Moretti è soprattutto Moretti Rossa stanno avendo successo grazie
all’immagine del “made in Italy”.
Una seconda chiave di lettura arriva dalla lussuosa penna che l’assassino perde e che può incastrarlo. La ritrova un barbone che ovviamente non ha niente di meglio da fare che ricattarlo e dargli appuntamento in un posto isolato, così da potersi farsi uccidere
indisturbato. Una volta arrivato sul luogo dell’appuntamento, infatti, l’assassino prima scrive in corsivo (da notare senza una
sbavatura) sono un bambino cattivo sulla mano del barbone,dopodiché gli sfonda la scatola cranica con il robustissimo pennino. Che c’è di product placement in tutto ciò? Niente a parte dimostrare l’affidabilità e la resistenza di una penna, e dal fatto che il cartello di una nota marca passa di li a poco su un tram
NON HO SONNO Il punto più ardito nel product placement in Argento
(Pubblicato in Dy's Chronicles 2, gennaio 2001).