Per inquadrare nel panorama cinematografico la personalità fuori dagli schemi e totalmente indipendente di Antonio Rezza bisognerebbe (come fortunatamente è stato possibile al Torino Film Festival 2022) ascoltare le sue parole a 360 gradi sul proprio film, sul cinema in generale e sulla società tutta (Rezza è un fiume in piena di parole, mai banali). Il regista ne ha per tutti e rivendica la sua rinuncia alla gloria e al denaro (per questo c’è il teatro di cui è una star che gli permette di vivere e lavorare) per mantenere la sua totale indipendenza e poter fare quello che vuole (la fama cinematografica arriverà dopo che sarà morto, dice, perché questa società non è in grado di recepire opere fuori dagli schemi se non post-mortem).
E Il Cristo in gola è la sua opera probabilmente più adatta a questo obiettivo. Nata da un’idea di partire dal Vangelo di Pasolini per poi diventare “rezzana” a tutti gli effetti nel 2008, fu abbandonata dall’autore per poi essere ripresa in step successivi da allora ad oggi quando è stata finita. Un po’ come le opere autofinanziate di Orson Welles girate in maniera piratesca nel corso degli anni e proprio come queste anche qui un’inquadratura può dialogare con il controcampo girato dieci anni dopo.
Il Cristo di Rezza è pieno di dubbi ed incertezze, incalzato dal diavolo (una vecchietta impertinente che lo accusa di non saper far piovere e di essere stupido perché non si iscrive alla SIAE…) e bacchettato da un Ponzio Pilato impertinente che filosofeggia e accusa (con la voce dello stesso Rezza che così biasima se stesso nell’interpretazione di un Cristo muto e urlante in un cortocircuito parossistico). Il lavoro sui dialoghi e sulle immagini che divengono simbolo e allo stesso tempo blasfemia, ci porta verso le vette di sarcasmo e cinismo sulla religione e sulla società del Rezza teatrale. Sotto il profilo cinematografico il girato spalmato negli anni mette insieme materiale eterogeneo così che da immagini quasi amatoriali si passa ad altre più ricercate, dalla rozzezza del cinema di Ciprì e Maresco si passa a momenti lirici come il ballo sulle acque; il tutto senza mai abbandonare il fine ultimo del Rezza regista ovvero mettere in scena i corpi degli attori e del Rezza-attore appunto. Un film-ossimoro, rozzo e ricercato, ironico e disperato.
Film anarchico e pieno di intelligenza non irreggimentabile, questo Il Cristo in gola è sicuramente l’opera più compiuta e importante del nostro che gli assicurerà una fama postuma… oppure più immediata? Chissà che questa orribile società non sorprenda Rezza stesso accorgendosi del suo valore anche cinematografico.