Si inizia il Torino Film Festival 2022 con un’opera a dir poco impegnativa, per durata e ritmo. Ci attendono 7 ore di film in 16 mm, bianco e nero e lunghi piani fissi a raccontare un’epopea famigliare, quella dei Monzon, ricchi possidenti di campi di canna da zucchero nelle Filippine.
Ma l’autore è Lav Diaz e pertanto siamo disposti a dargli credito e ad affrontarne l’ennesima sua opera monstre. La storia si svolge negli anni ’70, gli anni dell’ascesa del dittatore Marcos e della famigerata moglie Imelda. Ma seppure il periodo rappresentato sia quello, utilizzando vari espedienti (il diario di un avo, i racconti/ricordi della sorella con problemi mentali e le gesta orribili del fratello) Diaz racconta la storia di Servando Monzon e della sua famiglia dalla fine del 1500 ad oggi. La storia dei Monzon è una storia di violenza. Nasce da un profugo spagnolo cacciato dalla sua nazione perché ha trucidato la sua donna per gelosia con 52 pugnalate, il quale poi diventerà il proprietario di buona parte delle islas Filipinas, per proseguire con i crimini commessi nel 1945 dagli invasori giapponesi che hanno violentato le donne di famiglia e ucciso buona parte degli uomini e, poi, quelli del nonno del protagonista che ha amministrato i possedimenti con soprusi e violenze; per finire con la follia di un padre adepto ad una setta in cui lo stupro e l’omicidio erano normalità.
Prodotti di queste vicende sono i tre fratelli gemelli, Tiya Dencia rimasta mentalmente offesa dagli orrori dei giapponesi, Ernesto il figlio adottato dalla setta e diventato parricida e poi mass murder ed infine il nostro Servando che si ritrova a dover amministrare i resti di un impero che sta crollando sotto le mire di potere di Marcos.
Un film a tratti terribile e potente nel quale Diaz asciuga ancora più del solito la scenografia e le inquadrature (muri bianchi e sporchi con appena una scritta o un quadro a rompere la monotonia dello sfondo, rovine, povertà e la foresta che si riprende ciò che le era stato estirpato) e in cui il drastico discorso della violenza che permea la famiglia Monzon (e per estensione tutta la storia delle Filippine) è accompagnato da quello sulla lotta di classe e sullo sfruttamento dei poveri che porta alle loro reazioni violente, chi si avvicina alla resistenza alla dittatura, chi trova nella dittatura un motivo di rivalsa e vendetta con il risultato di un massacro tra poveri…
Non è a nostro parere all’altezza dei suoi capolavori più acclamati (stavolta la lunghezza si avverte come non necessaria, cosa che non succedeva in altri suoi film) ma resta pur sempre un’opera importante e conferma Diaz come un punto fermo del cinema odierno.
Il product placement è confinato alle bibite di cola, prima la RC cola filippina poi a quella più famosa, la Coca Cola che si trova in molte scene. Vi sono in realtà anche citazioni di varie brand per illustrare le spese folli di Imelda Marcos mentre la popolazione vive in povertà, tra queste Cartier e Steinway & sons