POLLEN – Ha Kil-chong (1972-Sudcorea)
Retrospettiva al Far East Festival 2012 sul cinema coreano degli anni ’70.
Piano sequenza all’interno di una grande casa nobiliare appartenente ad un ricco agente finanziario. Dentro le pareti di questa “casa blu” si vive con agio ma anche prigionieri del proprio lusso e dei propri desideri repressi. La moglie è un’ex concubina e la figlia una giovane appena diventata donna. Le giornate agiate ma tranquillamente noiose subiscono un cambiamento fatale (cambiamento preannunciato dalla misteriosa morte dei pesci del laghetto privato della tenuta) quando il padrone di casa torna in famiglia accompagnato dal nuovo segretario con cui ha un evidente rapporto omosessuale. Il giovane da questo momento diventerà elemento destabilizzante per la famiglia tutta.
Il giovane non nasconde il proprio opportunismo e la propria ambizione agli occhi della figlia del possidente ma nonostante ciò quest’ultima se ne innamora e i due tentano una fuga che scatena la furia del capofamiglia lussuriosamente invaghito del segretario e deciso a non perdere l’oggetto del proprio desiderio. Ritrovati i due giovani l’uomo scatena la sua rabbia picchiando e riducendo in fin di vita il ragazzo che poi rinchiude in una dependance della casa.
La casa, la famiglia, la classe. Tutto si decide in modo patriarcale e chi appartiene ad una classe inferiore non può permettersi di minare i rapporti predefiniti. Nonostante tutto il giovane resta soggetto perturbante ed attrazione sessuale inevitabile. Pure la moglie finirà nel suo letto, pure l’inquietante serva di casa che prima, invidiosa dei padroni, aveva riempito la camera in cui si stava completando un rabbioso rapporto sessuale tra marito e moglie di fetidi topi.
L’implosione della classe borghese, marcia e viziata, ad opera di un elemento estraneo, ci porta direttamente dalle parti di Boudu di Renoir o di Teorema di Pasolini, ma tecnicamente abbiamo di fronte un regista che non usa certo il fioretto nel raccontare le vicende di sesso e violenza famigliare ma utilizzando espedienti da cinema noir e horror riesce anche ad adottare interessanti soluzioni. Ad esempio annunciando la drammatizzazione degli eventi (su tutti la rabbia del capofamiglia che si esplica stringendo in pugno a morte un povero pesce rosso) non con la musica (ce n’è poca nel film e quella che c’è è uno strano beat psichedelico in linea con la moda anche occidentale del periodo) ma amplificando i rumori facendoli ossessivi sia si tratti delle onde del mare, del rombo di un motore o dei legni usati per battere il bucato.
Film anarchico, politicamente rivoluzionario, carico di tensione e sentimenti oscuri che esplodono in un finale tremendo in cui i poveracci del popolo ingannati dal ricco prestadenari caduto in disgrazia si trasformano in linciatori implacabili con tanto di violenza sessuale ai danni della padrona di casa.
Poco o nullo il product placement con qualche insegna locale inquadrata di sfuggita durante la fuga dei giovani in città ed un bulldozer KIMCO su cui i giovani si innamorano.