Ritroviamo al Losanna Underground Film Festival il regista Jamil Dehlavi di cui avevamo visto la prima folgorante opera Towers of silence, con Born of fire in cui il regista affronta il genere horror di spiriti malvagi e possessioni.
Un musicista inglese scopre assieme alla fidanzata che il padre, da cui era stato abbandonato da piccolo e che era sparito in Cappadocia, ha avuto a che fare con forze del male, ovvero con dei djin o ginn, spiriti del male invocati dal “Maestro della Musica” un personaggio vecchissimo e pericoloso. Chiamato in loco con ragazza al seguito (presto posseduta…) è chiamato a combattere con la forza del suo flauto (!) per scacciare la presenza maligna.
Lasciamo perdere una trama raffazzonata e che allo stesso regista (per sua stessa ammissione sul palco del festival) risulta poco chiara e che è decisamente il punto debole del film. Nella pellicola però ritroviamo la forza delle immagini di Dehlavi che sfrutta meravigliosamente lo spettacolare scenario turco per offrirci immagini visionarie. Tornano insetti ed avvoltoi, le eruzioni vulcaniche, gli esseri deformi… insomma l’immaginario già visto anche nel film d’esordio anche se qui la fotografia è a colori e sulla tavolozza troviamo i marroni chiari delle rocce desertiche, il bianco calcareo, il celeste delle acque cristalline, il giallo-rosso del fuoco uno spettacolo per gli occhi (forse questa volta un po’ fine a se stesso, ma il piacere sussiste).
Una menzione speciale per la bravissima quanto poco conosciuta interprete Suzan Crowley dagli occhioni inquietanti e pronta a qualsiasi prova, dall’immersione nuda in uno specchio d’acqua circondata dal fuoco, a giacere in caverne e tuffarsi, sempre senza veli, da un dirupo in un lago.
Una BMW guidata dai protagonisti è l’unico product placement del film se non vogliamo contare un barattolo di crema Wilson probabilmente inquadrata per caso.