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CINEMA
24 Giugno 2024 - 23:37

FESTIVAL DEL CINEMA RITROVATO DI BOLOGNA 2024

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Giorno 2
FESTIVAL DEL CINEMA RITROVATO DI BOLOGNA 2024

Grazie ai continui restauri delle sue pellicole quasi dimenticate che trasversalmente passano per vari festival, viene in qualche modo riscoperta la figura del grande regista filippino Lino Brocka. Al Festival del Cinema Ritrovato 2024 è stato proiettato Bona del 1980, in cui una bravissima Nora Aunor interpreta la Bona del titolo, una ragazza che si invaghisce di un attore di cinema di seconda fila, poco più di una comparsa, immedesimandosi a tal punto nel ruolo di fan di supporto da entrare in casa di lui e diventarne una figura materna e serva della sua persona allo stesso tempo. Si prende cura di lui mentre l’ottuso uomo non si degna di assecondarne l’affetto. Va bene giusto per farsi servire, per racimolare i soldi per mangiare, a volte anche per un po’ di sesso, ma proprio perché non c’è altro. Le mire sessuali del tipo sono per donne ben più navigate e appariscenti. Bona nonostante la famiglia la cacci per la vergogna di vederla schiava di tale personaggio dando scandalo nel quartiere, continua ad umiliarsi lavando, cucinando, facendo lavori di fatica, pur di stare accanto all’uomo che adora. Fino ad un finale in cui ha finalmente un atto di ribellione. E’ evidente come l’argomento del film sia principalmente il rapporto della donna nella società filippina, ma quello che interessa nel cinema di Brocka è, ancora una volta, la sua capacità di coniugare cinema autoriale e cinema popolare. Pochi oltre a lui riescono a restituirci con tale realismo la vita degli “slum, tra le baracche fatiscenti, le fogne a cielo aperto e i falò di spazzatura” (dal catalogo del festival). (voto 7,5) Bona si presenta mangiando patatine Chippy e il product placement riguarda principalmente bevande (Coca Cola e birra San Miguel) e marche vestiarie (All stars, Adidas) ma anche una macchina da cucire Singer ha il suo buon piazzamento.

Unica opera da regista della “cecoslovacca” Ester Krumbachova, Murdering the devil (1970) è una commedia grottesca in cui viene demolito il maschio da uno sguardo femminile. La protagonista, la non più giovane Ona, viene ricontattata dopo molto tempo da un vecchio amore, l’ing. Diavolo (il significato di Certa, il cognome del coprotagonista) e, vogliosa di un rapporto che da parecchio le mancava, lo invita a cena e lo rimpinza per bene. Lui pensa solo a mangiare con ingordigia sboccata e comica, ha camicie lise che mettono in evidenza l’abbondante e pelosa pancia e non ha nessuna attenzione per la donna se non per i manicaretti che gli prepara. Dato che “anche l’abominevole uomo delle nevi è meglio che restare senza un uomo”, parole della canzone introduttiva del film e poi più volte riproposta, Ona persiste nel cucinare e nell’invitare l’uomo a casa. La sua voracità diventa estrema fino ad arrivare a mangiare piatti di ceramica e a rosicare le gambe dei mobili della casa di Ona. Un ritratto goliardico e crudele allo stesso tempo dell’insensibilità e della famelicità dell’uomo e della pazienza e della sopportazione femminile, con alcune trovate stilistiche avanguardistiche da parte della Krumbachova che ci lascia un film, ora restaurato, decisamente divertente quanto feroce. (Voto 6+)

Anche l’iraniana Marva Nabili è riuscita a dirigere un solo lungometraggio per il cinema nella sua vita (tra l’altro l’ottantenne artista ha inviato un saluto tramite video alla platea) e anche questo è stato restaurato e presentato al Festival del Cinema Ritrovato 2024. Si tratta di The sealed soil (1977), un altro ritratto di donna, in questo caso la diciottenne Roo-Bekheir che si mette contro la famiglia e il villaggio in cui abita perché rifiuta tutti i pretendenti e ancora non si sposa. Interviene anche il capo del villaggio che, con una certa nostalgia, le ricorda quando ancora si poteva far maritare le bambine di 7 anni come fu fatto con la madre di Roo-Bekheir che a diciotto anni aveva già partorito quattro figli! Uno sguardo tutto femminile sull’arretratezza di una società contadina in un paese che stava cercando di entrare nella modernità (siamo negli anni dello Scià, prima della rivoluzione). Film intimo e meditativo, specchio della protagonista, che alterna momenti poetici ad altri documentaristici che ricordano il cinema “etnico” di Rouch. (Voto 6,5)

“Al di fuori del mondo germanofilo l’Heimatfilm è scarsamente conosciuto, poiché, a differenza di altri generi prodotti in Germania Ovest e in Austria, si rivelò difficile da esportare (…) La rassegna raccoglie un corpus di film raramente trattati nelle storie del cinema dei due paesi: opere realizzate un po’ prima e parallelamente agli inizi dell’ondata di Heimatfilm, per lo più ambientate negli stessi paesaggi alpini ma completamente diverse per tono e atteggiamento al cinema nato dalla sapienza artigianale e dalle capacità commerciali di Deppe” così introduce la rassegna da lui diretta Olaf Moller nel catalogo del Festival del Cinema Ritrovato 2024. Al regista Hans Deppe fa riferimento come iniziatore del genere Heimatfilm, film ambientati in regioni rurali, in piccole comunità tra i monti della neonata Repubblica Federale Tedesca e dell’Austria subito dopo la Seconda Guerra Mondiale. Die Sonnhofbauerin (1948),  del duo registico Wilfried Frass e Karl Kurzmayer, è quindi uno dei primi esempi di questa “ondata” cinematografica ed è la storia di una contadina che si ritrova senza marito (pare sia sparito durante la guerra e nessuno ne sa più nulla) con un figlio da crescere. Dopo 4 anni, quando ormai il consorte è dato come morto, si innamora di Martin, un uomo venuto dalla città che si prodiga a darle una mano nella fattoria orfana del padrone. Per i due sembra prospettarsi l’inizio di una nuova vita insieme. Naturalmente in un film dove un uomo sparito in guerra non si sa se sia morto o vivo, prima o poi lo vedremo ritornare, di solito quando la frittata è fatta. Ed è così per Stefan, il marito contadino, che non è accolto benissimo dalla moglie e, soprattutto, dai villeggianti che lo sbertucciano e lo massacrano di pettegolezzi ed insinuazioni. Il nostro caccia di casa la donna per poi pentirsene in una seconda parte di film ad alto tasso melodrammatico. Per il resto Die Sonnhofbauerin si barcamena tra commedia e qualche impennata gotico-espressionista (da ricordare la danza degli uomini vestiti da scheletri durante il carnevale, inquietante), per lo più però è mungitura di vacche, girovagare per i monti e chiacchiere all’osteria che comunque mettono il dito nella piaga dei residui laceranti lasciati dalla guerra. (voto 5/6).

Secondo film della rassegna su Kozaburo Yoshimura presente al Festival del Cinema Ritrovato di Bologna è Sisters of Nishijin (1952), Kaneto Shindo ancora sceneggia il film ma cambia quartiere di Kyoto, non più Gion ma Nishijin, dove il proprietario di una fabbrica tessile si suicida perché pieno di debiti. Non serviranno a nulla gli interventi del suo braccio destro per rimettere in carreggiata la situazione, strozzato da usurai e squali della finanza. Il mondo cambia, arriva la modernità e vecchie aziende non riescono più ad andare avanti. Yoshimura si concentra sulla famiglia del suicida, le tre figlie, la moglie e l’amante “istituzionalizzata” e accolta in casa. Sacrifici, scelte difficili e un finale di estrema tristezza con le macerie della casa della famiglia che restano come unici ricordi di un passato benestante. L’eleganza di Yoshimura è accentuata da alcune carrellate decisamente espressive che sembrano essere la sua firma. (voto 7)

Concludiamo la giornata con la presentazione della copia restaurata del film di culto di John Boorman Deliverance (Un tranquillo weekend di paura, 1972) che, come Sugarland express visto ieri, ha superato i 50 anni di vita e li porta benissimo. E’, anche visto oggi, un film di grande impatto, pieno di tensione in cui la natura è protagonista con i suoi suoni, quelli della foresta, quelli della montagna, quelli roboanti del fiume. Una natura in cui l’uomo si perde, e dice bene Lewis (Burt Reynolds, dopo questo film diventato icona macho) quando afferma “contro il fiume non si può mai vincere”. Una gita di quattro uomini (Burt Reynolds, Jon Voight, Ned Beatty e Ronny Cox) tra le montagne e i suoi abitanti di inquietante aspetto per solcare il fiume Chattanooga con due canoe, finisce in tragedia. Dopo una sosta tra i boschi Beatty e Voight incontrano due montanari che li minacciano con un fucile e Beatty viene violentato da uno dei due, quest’ultimo viene a sua volta ucciso da Reynolds. Qui comincia l’incubo. I quattro nascondono il cadavere e cercano di andarsene il prima possibile dal posto. Inforcate le canoe Ronny Cox finisce in acqua, gli hanno sparato? Un altro uomo armato di fucile sembra minacciarli e Voight lo uccide pensando fosse il compare del violentatore ma in realtà potrebbe non essere lui ma un normale cacciatore. Infine, ritrovato il cadavere di Cox… si scopre che non ci sono colpi di fucile sul suo corpo. Quindi tutto un tragico abbaglio? Il regista ci lascia il dubbio. Un thriller horror che è più un’interrogazione psicologica sulla paura, la reazione, la colpevolezza e la fragilità umana. Da ricordare, oltre al resto, la sequenza iniziale in cui Cox duetta con la sua chitarra con un ragazzo disabile mentale suonatore di banjo, bellissima e significativa di tutto ciò che avverrà dopo. (voto 7,5) Caterpillar e Dodge nel limitatissimo product placement del film.

STEFANO BARBACINI

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