Al Losanna Underground Film Festival è iniziata la personale di Jamil Dehlavi, regista ai più sconosciuto e grande merito ha il festival di proporlo al pubblico curioso presente a Losanna.
Di madre francese e padre pakistano, ha vissuto l’adolescenza in Europa per poi, in fuga ad un padre autoritario e ad una carriera d’avvocato, approdare a New York per frequentare la scuola di cinema della Columbia University.
Per il suo film d’esordio torna in Pakistan proprio alla ricerca delle radici del padre a cui il film è dedicato (“ho dedicato il film a mio padre e allo stesso tempo nel film l’ho ucciso”).
In un brillante bianco e nero splendide immagini scorrono sullo schermo per raccontare una storia di ritualità zoorastiche e tradizioni mussulmane. Strutturato con una narrazione frammentata e un immaginario dominato dalla splendida figura Judy Van Hook che di nero vestita si erge nel deserto su frotte di avvoltoi intenti a divorare cadaveri in un rito purificatorio, Towers of silence è un gran film, in realtà un mediometraggio di 51 minuti, potente, tra l’underground e il cinema d’autore con l’A maiuscola.
Una Jeep che vaga nel deserto e, soprattutto, scatole del tè Lipton ammassate in un magazzino come product placement nel film.
Abbiamo visto, a seguire, anche il cortometraggio (anche questo interessante) Qaf, the sacred mountain, in cui Dehlavi riprende un’eruzione vulcanica facendone un video d’arte con le musiche di Tangerine Dream e Popol Vuh.