Con un ossimoro si potrebbe dire che l’inizio del Torino Film Festival 2020 è avvenuto con un film mesto ma dalla riuscita felice, si perché il messicano Sin senas particulares della regista esordiente Fernanda Valadez ci consegna un’opera piena di dolore e drammatica ma il risultato è sicuramente notevole soprattutto per la capacità della Valadez di restituirci poesia, utilizzando al meglio le immagini, dove sta disperazione; poesia nera, senza speranza.
Il giovane figlio di Magdalena è uno dei tanti aspiranti migranti che tentano di fuggire dalla terra natia per rifarsi una vita negli Stati Uniti, ma come gran parte di questi sparisce e non si sa che fine abbia fatto. Magdalena non si rassegna e va al confine per capire, per chiedere, per indagare. Lo fa camminando e domandando, perdendosi fra i ruderi di un mondo dominato da banditi e narcotrafficanti (il mondo lasciato dagli affaristi e dagli assassini della droga, quello raccontato da Don Wislow nella sua trilogia sul narcotraffico) dove la vita non vale nulla. I numerosi sacchi pieni di corpi bruciati, mutilati, assassinati sono un’orrore che non ferma Magdalena, tenace e disperata “probabilmente mio figlio è morto ma io voglio saperlo per certo”.
La piccola e anziana donna si annulla nello splendido e selvaggio paesaggio messicano a cui la regista dà rilevanza assoluta. Quell’immensità che ingabbia l’umanità così piccola e autodistruttiva. E’ interessante come il film sia girato bloccandosi sui dettagli (un occhio operato, l’impossibilità di una visione allargata), sui primi piani e poi sapersi espandere nei panorami impressionanti in cui i personaggi quasi spariscono. Gli oggetti, la polvere, le rocce, i resti sono i veri protagonisti, i volti della donna e del ragazzo che lei incontrerà e in cui troverà un succedaneo del figlio diventano loro il fondo su cui risaltano i campi, i laghi e le montagne.
Vi è poi una bella e terribile sequenza in cui i poliziotti, per il riconoscimento dei cadaveri di cui non resta nulla, mostrano gli oggetti ritrovati: shorts, maglie stracciate, scarpe, borse impolverate… Ricordano gli orrori che si provano vedendo le montagne di abiti ammucchiati nel museo di Auschwitz, i resti di un genocidio come questi sono i resti di una strage silenziosa che da anni va avanti in Messico tra l’indifferenza generale.
Un ottimo film d’esordio, un grido sussurrato, una mestizia assordante.
Non ci pare vi sia product placement programmato, vi si incontrano però brand vestiarie, dalla New Era del cappellino da baseball dei Kansas City Royals, un sottomaglia Under Armour, una maglia Adidas.