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CINEMA
21 Aprile 2025 - 03:04

COCA E RUM PSICOTROPICI

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Queer (Luca Guadagnino, Italia, 2024)
COCA E RUM PSICOTROPICI

Bisognerebbe che chi va al cinema si informasse un minimo su ciò che va a vedere. Soprattutto se va a vedere un film di Guadagnino, un regista da cui non sai mai bene cosa aspettarti dato che i suoi interessi sono molteplici e cinefili. Lo dico per quegli spettatori che se ne sono andati dopo il pompino di Daniel Craig con scambio di liquido seminale per bocca tra amanti. Lo dico per chi, irritato, si aspettava di capire tutto ciò che il regista metteva sullo schermo. Prima di affrontare un film come Queer bisognerebbe che lo spettatore si informasse su chi era Burroughs! Scrittore underground omosessuale, drogato e poeta di allucinazioni e pensieri complottistici, di cui Guadagnino, dopo Cronenberg (Il pasto nudo), ha avuto il coraggio di rappresentarne deliri e visioni.

Descrivere un film come questo non è facile e cercherò di farlo seguendo la divisione in tre capitoli più un epilogo voluta dal regista che illustra la storia di William Lee, protagonista del libro Queer, e, quindi, in gran parte la biografia di Burroughs stesso. La prima parte illustra la vita di Lee che passa il tempo, in un Messico ricreato a Cinecittà, all’interno di bar frequentati da gay, quasi sempre ubriaco e a caccia di bei ragazzi da portare a letto, finché si innamora dello studente-giornalista e forse spia, Eugene. Storia d’amore molto fisica e “sporca” raccontata, in contrasto, con colori iperrealistici che ricordano il Technicolor anni ’50. Una visione postmoderna, un Sirk come lo amava Fassbinder. La seconda parte è un on the road tossico con i due che partono per l’Ecuador e Lee che cerca di uscire dalla dipendenza dal “brown sugar” tra Terry Gilliam e Gus Van Sant. La terza parte è invece ambientata in una giungla tanto finta e tanto metaforica e il film si trasforma in un’opera psicotronica e allucinata. I due cercano di trovare un’erba in grado di portare la mente su un piano altro fino alla telepatia. Qui siamo tra Lynch e Cronenberg e vi restiamo nell’epilogo che rimesta un po’ tutto, ricordando il fatale colpo di pistola alla testa della moglie da parte di Burroughs, e mandando all’aria ogni speranza dello spettatore a cui piace “capire tutto” di avere una logica da quello che ha visto.

Film di corpi (non solo quelli dei due protagonisti, ma anche quello aumentato di decine di chili di un irriconoscibile Jason Schwartzman in versione checca o quello trasformato in laidume della scienziata-strega di una altrettanto trasformata Lesley Manville), film di visioni, film di artifizio. Guadagnino percorre sempre strade diverse mantenendo però il suo stile, la sua visionarietà. Vi ritroviamo gli slow motion con sottofondo di alternative rock e indie rock (Trent Reznor, Nirvana, New Order, anche i nostri Verdena) e di grandi interpreti anni ’40 e ’50 (Ink Spots, Cole Porter, Charlie Parker, Benny Goodman), la sua cinefilia e il postmodernismo, i suoi quadri stranianti e poetici, l’amore per il montaggio dei dettagli, il suo sguardo obliquo (essere fuori dal centro delle cose, obliqui e trasversali e scandalosi rispetto alla banalità eteronormativa o peggio alla richiesta di prendere il posto del potere).

Nella immaginazione di Queer abbiamo cercato un incontro tra il cinema e la pittura e sopratutto l’arte concettuale: ci siamo chiesti come avrebbe ro pensato a questo romanzo Powell e Pressburger (via Bertolucci e Fassbinder of course) ma soprattutto abbiamo cercato di imparare la lezione sulla luce dei grandi artisti fiamminghi Michaël Borremans e Francis Alÿs con le loro idee di reale e onirico così sublimi. (Guadagnino nell’intervista a Mariuccia Ciotta su FilmTv N.15 Anno 33) (voto 7,5)

Tante le marche presenti anche di prodotti dello stesso tipo, birre Tecate, Don Quijote, Carte Blanche, sigarette Camel, Embassy, Tigres. Poi anche Esso e Cadillac, ma IL product placement del film è Coca Cola. Il Coca e Rum è la bevanda preferita di Eugene, le pubblicità della bevanda sono ben visibili sui vari bar, le bottigliette si sprecano.

Stefano Barbacini

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