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CINEMA
20 Settembre 2024 - 20:39

DIARIO VISIVO (Film recenti di varie parti del mondo)

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Solino; Neruda; Houria; Bauryna Salu
DIARIO VISIVO (Film recenti di varie parti del mondo)

Storia di emigrati ma soprattutto storia di rapporti tra fratelli e tra padri e figli. Solino (2002) di Fatih Akin parte dal paese pugliese (fittizio) del titolo con i coniugi Rosa e Romano Amato che vanno in Germania per cercare lavoro con i due figli, Giancarlo e Luigi detto Gigi. Siamo nel 1964, aprono una pizzeria e sembra tutto vada per il meglio. Dieci anni dopo, 1974, le cose peggiorano. I due fratelli si scoprono decisamente diversi e innamorati della stessa ragazza, uno, Gigi, è talentuoso e piace alle donne, l’altro è ladro, invidioso e bugiardo. Il padre nel frattempo si fa scoprire a far sesso con l’amante nel sottoscala dalla moglie che decide di tornarsene al paese. 1984, le cose precipitano, Gigi torna pure lui a Solino perché la madre è malata di leucemia e ha bisogno di qualcuno che le stia vicino, il padre dimostra di non aver più il minimo interesse per la donna e per i figli e Giancarlo non solo non va ad aiutare il fratello ma ne usurpa la fama e gli ruba la donna… Ritratto impietoso, ma con la solita verve ironica tipica del regista, di una famiglia di emigranti italiani che attraversa mode e modi di tre decenni ed è anche una dichiarazione d’amore al cinema (quanto di autobiografico da parte del regista tedesco ma dalle chiare origini turche?) dato che Gigi è un promettente regista cinematografico che, proprio per colpa della famiglia, non riesce a continuare nella sua arte ma solamente a proiettare i suoi filmini nel “cinema” all’aperto da lui costruito con sua moglie, una ragazza del paese ritrovata a cui Gigi bambino aveva promesso di portare la neve che avrebbe trovato in Germania… (voto 6/7) Mercedes, amaro Ramazzotti, Kodak e cinepresa SuperBolex come product placement.

Un film biografico che inizia dentro ad una toilette, anche se lussuosa, in cui impettiti ed eleganti signori disquisiscono di politica mentre alcuni di loro vanno ad espletare “il cambio d’acqua” come fossero in un normale salon nobile (inizio con richiamo a Bunuel), ci fa capire che non vedremo qualcosa di standard, non avremo un quadro realistico e descrittivo della vita di Neruda (2016, Pablo Larrain). D’altronde Larrain è uno che si annoia a fare sempre lo stesso film (basta dare un’occhiata alla sua filmografia) ed è lui stesso a dirci: “Se volete sapere qualcosa sui fatti della vita di Neruda, non andate a vedere il film!”. Il regista si immagina una “caccia all’uomo” nel momento in cui Neruda è stato messo al bando dal presidente/dittatore cileno Videla e un prefetto di polizia (il film è accompagnato dalla voce fuori campo di questo personaggio che racconta i “fatti”), Oscar Peluchonneau viene messo sulle sue tracce. Neruda abbandona il suo milieu artistico e politico (è senatore del partito comunista), si dà alla fuga con la moglie, si nasconde travestendosi da prete e da prostituta (!?), frequenta postriboli e continua a poetare in itinere. Scopriremo che l’inseguitore (interpretato dal “prezzemolo” del cinema sudamericano, il messicano Gael Garcia Bernal) è un’invenzione di Neruda scrittore e probabilmente tutto il racconto del prefetto è stato scritto proprio dal poeta cileno… Oppure è Neruda come personaggio ad essere creato dal poliziotto nel suo racconto? Insomma, avete capito che il film di Larrain non è lineare e gioca con la finzione come faceva il conterraneo e da lui ammirato Raoul Ruiz. “Quando si fa qualche cosa che diventa difficile da descrivere, allora si è sulla buona strada (…) In Neruda ci sono elementi del film noir, soprattutto di Hitchcock; c’è un inseguimento poliziesco, e del road-movie. E’ anche della black comedy a tratti, con molta ironia. E alla fine diventa un western esistenziale” ecco come presenta il film il regista stesso (dichiarazioni di Larrain prese dall’intervista A la poursuite du cosmos, di Cyril Béghin che si trova sui Cahiers du cinema di Gennaio 2017) (voto 6+)

Mounia Meddour continua a riflettere sulla lacerata terra d’Algeria; con Non conosci Papicha del 2019 aveva ambientato una storia di una stilista determinata a presentare la sua collezione, nonostante la sua figura fosse invisa ai fondamentalisti islamici perché troppo libera e “scandalosa”, durante il “decennio nero” della guerra civile algerina che ha devastato la nazione africana durante tutti gli anni Novanta del XX secolo in cui il terrorismo islamico fece migliaia di morti. Ora con il suo secondo lungometraggio di fiction (del 2022), la regista moglie di Xavier Gens che produce il film, ne mostra i traumi postumi prendendo a riferimento sempre una giovane donna artista (vuol diventare ballerina), la Hourìa del titolo sempre interpretata dalla bravissima Lyna Khoudri, che viene aggredita da un ex-terrorista lasciato libero perché “pentito”, facendola cadere da una scalinata con la conseguenza di causarle danni ad una caviglia (troncandole la carriera) e causandole un danno al cervello per cui perde la parola. La donna verrà accolta in una struttura di riabilitazione e di sostegno psicologico a chi ha subito perdite o violenza (una madre ha perso i parenti in un attentato ad un autobus, altre due sono state sequestrate per mesi dai terroristi ecc…). A questo punto ritroverà la forza per coreografare un numero di danza con le compagne creando una vera scuola di danza. Il film è tutt’altro che superficiale anche se in alcuni momenti rischia di cadere nell’abbellimento del “patetismo”, a tratti durissimo nella rievocazione dei danni di quel periodo (anche il padre di Houria è stato ucciso dai fondamentalisti solo perché ha fatto guidare l’auto alla moglie), nell’accusare la “pacificazione” post-guerra che al solito ha lasciato impuniti molti, nel mostrare i problemi dell’Algeria attuale da cui l’amica del cuore cerca di fuggire tramite gli scafisti trovando la morte in mare (e quindi guardando dall’altro lato il problema dell’emigrazione), nella mancanza di giustizia per le donne che vengono trattate con leggerezza da poliziotti (anche di sesso femminile) più interessati a pensare a cosa mangiare che non ad arrestare i colpevoli. Dolente è anche la figura dell’avvocatessa, una volta militante e combattiva, ora arresasi alle troppe ingiustizie e ai troppi orrori visti. La regista è anche brava a mantenere la rabbia di fondo per tutto il film evitando la catarsi della punizione del cattivo (non sapremo se l’avvocatessa riuscirà a farlo incarcerare), limitandosi ad una sequenza finale poetica con le donne che danzano. Due “hit” italiane nella colonna sonora, Felicità di Albano e Romina e Gloria di Umberto Tozzi. (voto 6,5) Una Peugeot e un telefonino Samsung le uniche marche presenti nello scarno product placement del film.

Presente al FESCAAL 2024, il film Kazako Bauryna salu (2023) prende spunto da un turbamento giovanile del regista dovuto ad una pratica tradizionale, chiamata appunto Bauryna salu, per cui il primogenito di una famiglia dopo esser stato “benedetto” da 7 nonne, è deputato a restare con gli anziani ed essere separato dai propri genitori. E’ quello che capita a Yersultan, ragazzo affidato alle cure della nonna vedova che lo vediamo impegnato nella raccolta del sale, nel dare una mano alla nonna per accudire le galline e la casa, ad aiutare nella raccolta dei campi. Appena entrato nell’adolescenza cerca di racimolare i soldi per tornare dai propri genitori di cui tiene, come un santino, una foto del loro matrimonio al muro. Quando muore la nonna verrà recuperato dalla madre e ricongiunto con padre e fratello. Scoprirà che gli idealizzati genitori non sono particolarmente ben disposti con lui e lo trattano quasi da elemento alieno alla famiglia, proprio perché la lontananza li ha resi “estranei”. Il regista racconta questa storia di tradizione e legami parentali in zone rurali e montane del Kazakhistan utilizzando il piano sequenza e la forma realistica, quasi documentaria. Riprende i lavori contadini nel villaggio della nonna e l’allevamento di mucche e cavalli in quello dei genitori con sguardo tra il ricordo e il documento, con alcuni punti elevati come il piano sequenza a ritroso sullo sguardo addolorato del ragazzo dopo aver saputo della morte della madre (tra Tsai Ming Liang e Bela Tarr) e lo scontro finale tra padre e figlio degno del miglior Cassavetes. “A me è successo di dover subire questa tradizione e di essere separato dai genitori. E’ un vuoto che porto ancora dentro” scrive a coda del film il regista esordiente Askhat Kuchinchirekov. (voto 6/7)

STEFANO BARBACINI

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