25^ edizione de I giardini della paura rassegna di cinema horror che annualmente, patrocinata dal Comune di Parma, si svolge all’aperto all’ombra dei capolavori di Correggio del Monastero di San Paolo a Parma. La rassegna negli anni ha avuto ospiti illustri, non ultimo Ruggero Deodato a cui ora è dedicato un premio per il miglior esordiente nel cinema di genere. Premio che è stato vinto da Brando De Sica, consegnato da Manlio Gomarasca di Notturno nelle mani del regista presente alla proiezione, con il sorprendente Mimì il principe delle tenebre, già passato in festival di genere (in primis Sitges) ma poco pubblicizzato e visto in Italia. Il film inizia come una specie di teen horror in salsa napoletana, il protagonista Mimì è un pizzaiolo che ha avuto un’infanzia difficile a causa dei suoi piedi deformi, causa di bullismo ed isolamento. La sua vita infelice ha una svolta quando incontra l’amore rappresentato da Renata, ragazzina minorenne darkettona dedita al culto dei vampiri e autonominatasi Carmilla. I due si amano anche se il loro incontro è osteggiato da una banda di camorristi e proprio quando il film dark-romantico sembra propendere un po’ troppo per il romantico, ecco la svolta. Il finale è ad alto tasso di violenza gore e delirante quanto basta (cantanti neomelodici, sesso, droga, gole lacerate) senza abbandonare una vena malinconica e fantastica. Insomma un esordio decisamente interessante in cui il tentativo di due déraciné di vivere la loro felicità rifugiandosi in un mondo di fantasia (come quello dei vampiri) deve scontrarsi con la realtà di un mondo che fa schifo nella sua pelosa “normalità”. Visivamente il film sembra girato sotto acidi, al limite e oltre l’iperrealismo con intelligenti omaggi al cinema del passato, in particolare al Nosferatu di Murnau. Speriamo che il figlio e nipote d’arte Brando De Sica continui con questa vena (sembra avere lo spirito dei primi Manetti) e non si faccia “normalizzare” come la sua eroina (tra l’altro scelta piuttosto coraggiosa quella di utilizzare la bravissima Sara Ciocca, che ricordiamo bambina amica di Blanca nella serie tv, appena quindicenne per interpretare una ragazzina drogata e che fa sesso senza problemi… non usuale di questi tempi). (voto 7) La pizzeria dove lavora Mimì è la Pizzeria Iorio e una vera pizzeria con questo nome a Napoli esiste, sarà product placement? E quel motocarro Piaggio? Abbiamo poi auto Mercedes, un televisore Inno-it, una trasmissione su TV Astra, tute Champion e Champion è anche il nome di una birra più volte vista nel film.
Francesco Barilli è un “pramsan dal sas”. Chi non lo ricorda protagonista di Prima della rivoluzione del parmense Bernardo Bertolucci prima di diventare un regista di culto degli anni ’70 con soli due film girati, ovvero Il profumo della Signora in nero e Pensione paura? Poi l’oblio, con la fine del grande periodo del cinema popolare italiano. E’ uno dei tanti registi protagonisti di quella stagione a non riuscire più a trovare i finanziamenti per lavorare. A Parma è riuscito tra la fine degli anni ’90 e l’inizio di questo secolo a girare alcuni interessanti documentari sulla sua (nostra) città. Ora, alla bellezza dei suoi 80 anni, pimpante, è riuscito a trovare i soldi per un piccolo film, Il paese del melodramma (2023) (un nome, un programma) che è principalmente un omaggio alla parmigianità, in cui i luoghi e i personaggi topici della città vengono inseriti nella trama con intelligenza. Verdi, soprattutto, la cupola del Correggio del Duomo di Parma e la deposizione dell’Antelami, il Teatro Regio in tutta la sua bellezza, il torrente Parma, il cimitero monumentale della Villetta, la lirica, ma anche una canzone in dialetto parmigiano e la tipica parlata di Parma (che raramente si è sentita al cinema anche nei film ambientati in questa città) di Luca Magri e di molti degli altri interpreti con intercalari peculiari del dialetto. Da questo punto di vista il film è più che riuscito e merita (sicuramente per tutti i parmigiani ma anche per tutti i cinefili curiosi) una visione (al momento è a pagamento su Prime). Vi sono anche le partecipazioni cult di Luc Merenda, rispolverato da Barilli direttamente dagli anni ’70, nei panni della morte e di Davide Pulici (una delle menti dietro la rivista Nocturno) nel ruolo di un prete che dimostra una padronanza recitativa (pur facendo un altro mestiere) superiore a quella dell’interprete principale che di fronte a lui sfigura. Per il resto il film non è proprio riuscitissimo. Un tenore una volta famoso ed ora caduto in disgrazia perché non ha mai superato la morte della moglie e della figlia, e per questo diventato un alcolizzato cronico, incontra “la morte” nella sua iconografia classica con tanto di falce che lo spinge ad interpretare il Macbeth per il suo piacere personale (una morte melomane!). Per farlo deve ridarsi una sistemata, riprendere in mano la sua vita e tornare a cantare come sapeva fare. Davanti a lui però si manifesta sotto varie forme la morte che lo perseguita… Nonostante una trama piuttosto semplice, ci sono alcuni passaggi poco chiari (ad esempio non si capisce bene perché la morte dovrebbe aver ucciso moglie e figlia del cantante per poterlo sentire cantare ancora…) e il film resta piuttosto piatto (il regista rimpiange le cineprese che usava una volta e che davano immagini più pittoriche), salvato da tutto quello che ho scritto in precedenza e da alcune scene degne del Barilli che conosciamo come regista di buon talento visivo (la morte sottoforma di bella ragazza di colore che espelle dalla bocca un serpente, il “pippone” di Pulici, la scena onirica della morte del padre, la bellissima scena notturna della Corale Verdi che canta sul Ponte di Mezzo). (Voto 6-) Il ristorante-osteria parmigiano Battibecco, qui diventato più un bar dove il protagonista va ad ubriacarsi, è il principale (e probabilmente unico) product placement del film.
Su Amazon Prime che ultimamente sta dando spazio a produzioni indipendenti e low budget italiane anche di genere, si può vedere L’orafo (2022) di Vincenzo Ricchiuto, esordio bizzarro che rispolvera due vecchie glorie del cinema di genere (e non), Stefania Casini e Giuseppe Pambieri, per raccontare la storia di un vecchio orafo, appunto, specializzato più in impianti cyborg che non nella creazione di preziosi in oro. Tre ragazzi che si guadagnano la vita con piccoli furti hanno avuto la dritta della presenza di un laboratorio di gioielli dentro ad una magione dispersa tra i boschi e abitata da una coppia di anziani. Attirati dal facile obbiettivo, attendono la notte e si intrufolano nella casa per sopraffare i due e farsi aprire il laboratorio contenente un ricco bottino. Nel laboratorio però resteranno prigionieri e i due docili vecchietti, un po’ fuori di zucca, si riveleranno i tipici “mad scientis” da B movies. Frankenstein incontra Arsenico e vecchi merletti con gusto cinefilo, buona ironia (sorretta dai due anziani attori) ma anche con tanta approssimazione recitativa da parte degli altri attori mal diretti in questo senso. Buon tentativo ma molto da affinare (Voto 5,5)