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CINEMA
19 Ottobre 2024 - 09:15

DIARIO VISIVO (Recuperi di film recenti)

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France; A qualsiasi prezzo; Marguerite; Solaris
DIARIO VISIVO (Recuperi di film recenti)

Tra i deliri comico-grotteschi delle due serie televisive su Quinquin e di Ma loute e i due storici-musical su Giovanna d’Arco, Bruno Dumont sembra normalizzarsi con France (2021) film incentrato sulla figura della protagonista che porta il nome del titolo del film e della nazione che va a rappresentare in giro per il mondo in un giornalismo d’inchiesta piuttosto edulcorato. Infatti France (interpretato da Lea Seydoux con il seducente naso “francese” e lo sguardo perennemente bieco) è una giornalista star della tv che conduce un programma “politico” ma che è più attratta dalla sua popolarità e dal suo ego che non dalle vicende complicate di cui narra. Quando un mattino, di fretta, travolge un poveraccio con l’auto, ha un vero scontro con la realtà ed entra in crisi, sentimentale, esistenziale e di notorietà. Ritratto a tratti sentito e denso di un’individualità creata dalla modernità dei media, presenta però lungaggini che fanno scemare un po’ l’interesse. Del Dumont provocatore e fuori dalle righe che conosciamo c’è comunque poco. (voto 6) Product placement limitato ad Apple, Citroen e Adidas.

Iowa terra di agricoltori, di mais e corse d’auto tra le balle di fieno. Di rivalità per la terra e per il procacciamento dei clienti (chi non si espande muore) e di famiglie tenute insieme a mala pena da un bigottismo ipocrita. Terra in cui il duro lavoro dei campi è stato sostituito da super-tecnologici trattori John Deere (principale product placement del film) e i semi naturali e deteriorabili da più affidabili semi OGM. Se prima non bastava sudare e faticare per portare a casa un buon raccolto ora l’attenzione è più al marketing e al commerciale (con quel tanto di “oltre la legalità” che fa la differenza). Questo è quello che ha voluto raccontare il regista Ramin Bahrani con il suo A qualsiasi prezzo (2012) in cui Dennis Quaid interpreta un proprietario terriero che cerca di portare avanti la tradizione famigliare non aiutato dai figli che non sopportano lui e l’Iowa, uno se n’è andato in Argentina a scalar montagne, l’altro cerca gloria nelle corse automobilistiche. Finché le cose non cominciano a deteriorarsi forse irrimediabilmente: difficili rapporti sentimentali, tradimenti, violenza. Ma l’ipocrisia del viver famigliare vincerà, come quasi sempre. (voto 6+) Detto di John Deere, nel film sono presenti anche Blackberry, Nestlé, Ford, Coca Cola, Bud e Lite, Camel.

Come spesso succede nel ricircolo di idee produttive alla ricerca di nuove storie da raccontare, nella stagione 2015-2016 ben due film, uno inglese (Florence di Stephen Frears) e uno francese (Marguerite di Xavier Giannoli) portano sullo schermo la vita della facoltosa Florence Foster Jenkins (nel film di Giannoli trasposta in Marguerite Dumont) colei che pur essendo stonatissima, si credeva una grande cantante. Attorno a lei una pletora di sottoposti e parenti ne sfruttano le ricchezze in modo parassitario facendole credere che il suo talento sia reale. Eccola quindi organizzare feste private in cui lei si sente la star e la sua voce starnazzante viene ascoltata con ironia dal pubblico presente che la esalta. Quando due bizzarri giornalisti la scoprono decidono di sfruttarla per i loro scopi anarchici (le fanno cantare la marsigliese così massacrata dalle sue stonature) e ne scrivono bene sui giornali. La donna nella sua patetica e triste convinzione di essere una capace performer decide di esibirsi davanti ad un pubblico vero ingaggiando anche un vero cantante d’opera costretto ad accettare di aiutarla a migliorare la sua voce. Anche quest’ultimo è interessato solo ai suoi soldi e non può comunque nulla per far diventare uno starnazzo d’anatra in un canto d’usignolo… Naturalmente l’esibizione sarà un fiasco totale ma il patetismo tanto umano, la frustrazione di non essere capaci di ottenere quello che per cui si è votata tutta la vita, è rappresentata nella figura della tenera goffezza di Marguerite (a cui si adatta l’ottima Catherine Frot, più “umana” della Meryl Streep di Florence) con esagerazione di una miseria umana che è sentimento universale e vale per tutti coloro che pensano di essere meglio di quel che realmente sono, magari anche senza la dolcezza inoffensiva di Marguerite. E in questo film, come nella vita, i peggiori sono quelli che si sentono migliori. (voto 6+)

Difficile guardare il Solaris (2002) di Steven Soderbergh separandolo da uno dei capolavori del cinema di fantascienza, quello del 1972 girato da Andrei Tarkovsky. Lo dico perché comunque il film di Soderbergh è bello e non è corretto confrontarlo con tale opera, altrimenti verrebbe sminuito senza senso. Seppur la storia sia sempre quella contenuta nel romanzo di Stanislaw Lem (uno scienziato inviato su una stazione spaziale che si trova vicino al pianeta Solaris incontra due sopravvissuti sconvolti dagli eventi che li hanno coinvolti, ovvero alcune apparizioni di loro cari scomparsi. Anche allo scienziato, qui interpretato da George Clooney, appare la moglie Harey morta suicida da poco…), l’approccio è differente e giustamente il regista americano se ne guarda bene di fare un remake del film del 1972. Mentre quest’ultimo era una prolungata (nella versione director’s cut arriva a quasi tre ore) visione poetica e metafisica di una coscienza ai limiti dell’astratto, quello di Soderbergh ne è la “traduzione” pratica e concreta. Cinema autoriale vs. cinema spettacolare? Non è da mettersi in questi termini dato che l’autorialità è mantenuta anche nella versione Soderbergh (splendide immagini, primi piani continui e intensi con particolare attenzione agli occhi magnetici di Natascha McElhone, piani sequenza “morali” e poca spettacolarità fantascientifica ma molto intimismo) “Soderbergh non ha, per fortuna, la presunzione di voler modernizzare a tutti i costi il capolavoro buio del maestro sovietico che, permeato dall’ubiquità di un lirismo tragico, si presentava con quei toni lenti, quasi ipnotici, come un rebus metafisico sulle illusioni prospettiche della logica tecnico-scientifica, colte nel drammatico conflitto con la coscienza dei limiti della mente umana, vista allo specchio come un labirinto ancora sconosciuto (…) Soderbergh ha piuttosto raccontato la sua storia in antitesi con il film di Tarkovsky, asciugando la narrazione a novanta minuti e concentrandosi su quelli che sono i temi a lui più cari.” Come scrivono Manlio Gomarasca e Antonio Guastella nell’articolo Solaris tra passato, presente e futuro su Nocturno n. 10 di aprile 2003. Il Solaris del 2002 è anche un film d’amore e di elaborazione del lutto e un’intensa analisi psicologica sul deterioramento dei rapporti di coppia, sulle incomprensioni e sulla loro, a volte, irreparabilità. (Voto 6/7)

Stefano Barbacini

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