CONFESSIONS – Tetsuya Nakashima (2010)
Un’aula scolastica. Un luogo chiuso con la camera che non sta mai ferma. Avvicina gli studenti, si sposta lungo la stanza, va ad inquadrare la professoressa che annuncia il suo ultimo giorno di scuola.
La professoressa ha il cuore spezzato dalla morte della figlioletta. Un dolore tremendo che non le permette più di lavorare. Lei sa che gli assassini di sua figlia sono qui, tra gli studenti di questa classe. La donna con la tristezza nello sguardo fisso annuncia la sua vendetta.
E’ questa la prima di una serie di “confessioni” che andranno a scavare nella psiche di tutti i soggetti collegati in un modo o nell’altro con questa vicenda. Lo scavo porterà alla luce drammatiche situazioni di alienazione, bisogno di imporsi, violenza latente e violenza reale.
Un coltello lacerante affonda nelle fragili membra di una società giapponese che porta all’interno di sé, sempre trattenute e per questo più drammatiche quando fuoriescono, drammi, frustrazioni, dolori.
Un film semplice e complesso al tempo stesso. Uno psycho thriller che si allontana dal genere per diventare analisi sociologica. Non vi sono effettacci, colpi a sorpresa, marchingegni per sorprendere ed impaurire come nei tanti thriller horror orientali similari.
Vi è una rappresentazione quasi “teatrale” di una lenta discesa verso orrori nascosti all’interno dei giovani studenti accompagnati da una camera sinuosa e sapientemente orchestrata da un regista al massimo delle sue capacità.
Anche quando il sangue scorre tra incubo e realtà si raggruma all’interno dello spettatore creando malessere.
Il più bel film del Far East Film Festival 2011 ci arriva da una vecchia conoscenza della rassegna udinese. Tetsuya Nakashima, regista di “Confessions”, ma già conosciuto dai frequentatori del festival perché qui ha presentato i precedenti Kamikaze Girls e Memories of Matsuko, abbandona lo stile pop adottato per queste due opere precedenti e ci offre un rigoroso lavoro registico fatto di studiati movimenti di macchina, lievi e avvolgenti, in perfetta sintonia con il mood creato dalla vicenda. La maestria del regista giapponese (ormai uno dei più importanti tra le ultime leve nipponiche) è quella di tenere vivo l’interesse su di una storia che poteva affossarsi in una recitazione teatrale con il rischio della stucchevolezza.
La storia è tratta dal libro di Kanae Minato “La confessione” edito anche in Italia da Giano.
La tuta ADIDAS l’abbiamo vista qui come in altri film giapponesi e non sempre come product placement voluto. Sintomo di un’ottima penetrazione della multinazionale con base tedesca (e appena laureatasi campione d’Italia con il Milan), nel paese del sol levante. Ma dove non arriva la famosissima brand? Meno diffusa probabilmente la DULTON, comunque ormai piuttosto affermata nella produzione di orologi da muro, che troviamo sulle pareti dell’edificio scolastico.
Chiudiamo la breve carrellata sulle brand, non molte in verità, con MICROSOFT e YAHOO JAPAN, sistemi operativi e di ricerca dei computer utilizzati nel film.