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CINEMA
18 Aprile 2025 - 20:03

DIARIO VISIVO (Quattro film fuori norma)

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Survive Style 5+; Isle of Lesbos; Io monaca...; Tammy e il T-Rex
DIARIO VISIVO (Quattro film fuori norma)

Pensate essere un cervello collegato ad una videocamera con dei tubi (una roba tipo Il cervello di Donovan) a cui una sexy Denise Richards fa uno spogliarello restando in intimi e non avere un corpo per soddisfare la libido… che sofferenza, che frustrazione! Finisce così l’eccentrica teen comedy Tammy e il T-Rex (1994) che mischia bullismo da college movie ai film di mostri e a Frankenstein con gustose scene gore e assurdi effetti speciali (un cadavere ridotto a una specie di tappeto sanguinolento, teste strappate dai corpi, crani aperti in due, budella che escono da un ventre ridotto a cratere). Il film, che evidentemente non sapevano bene come venderlo (un tipico prodotto da Drive-in quando questo tipo di pubblico non esisteva più), fu distribuito in America come commedia togliendo il poco erotismo e il gore dal film cercando di raggiungere i fan di Jurassic Park. Incredibilmente su Italia 1 passò una versione senza tagli doppiata! Questa mi sono visto. Il film inizia con una comicità stupidotta che si basa su una ragazza, Tammy (la Richards, bambolina carinissima ma con poco talento) contesa dall’atleta Michael e dal mezzo delinquente Billy che entrano in contrasto tra di loro in una lotta a base di… stringimento di palle (!). Poi Billy con la sua banda dà Michael in pasto ad un leone! (cosa ci faccia un leone qui non si sa bene). Malmesso e in coma viene prelevato da uno scienziato di origini tedesche, folle  a da sé, che ha ricreato un T-Rex e che decide di dargli una mente inserendogli in testa il cervello di Michael! Il T-rex/Michael comincia a vendicarsi, uccidendoli a morsi o schiacciandoli con le zampe, i componenti della banda di Billy per poi correre da Tammy (non senza averle prima… telefonato!!) a cui riesce a far capire di essere Michael… Insomma un delirio. Divertente ma certo non un gran film, la parte comica (pessima) è lasciata all’attore Theo Forsett che interpreta la macchietta (un nero gay…) Byron, figlio dello sceriffo; quella erotica a Denise Richards ma, soprattutto, alla stangona Ellen Dublin che interpreta la perversa assistente Helga del dottor Wachenstein! (voto 5,5). Poco product placement ma all’inizio la Richards porta con sé una borsa Asics.

“Vonetta McGee (da Hammer e Blacula) e un gruppo di prigioniere (e una suora) scappano da una prigione Mediorientale, sono catturate come schiave, e scappano ancora (…) Il film contiene nudità, violenze carnali, scene lesbiche, a un nano sadico.” Presentato così da The Psychotronic Video Guide, Io monaca… per tre carogne e sette peccatrici (1972), titolo orribile, sembra un efferato film della serie dei nazi o dei wip di cui in effetti il regista austriaco Ernest Ritter Von Theumer era specialista (ma in generale fu un regista che cavalcò vari generi partecipando al periodo del cinema italiano di serie B anni ’70); in realtà, pur iniziando come un WIP poi diventa un film d’avventure esotico che si dipana in splendidi paesaggi turchi. Tutto quello che elenca Psychotronic in effetti è presente ma in modo piuttosto moderato e non grafico. Anche le nudità ci sono ma piuttosto contenute. Ma cos’è allora questo film? E’ uno dei tanti di quel periodo che non si sa bene come classificare. La storia, scritta da Sergio Garrone che ha anche diretto qualche sequenza, vede un gruppo di sette carcerate fuggire dalla cattività portandosi a dietro una suora (Monica Teuber in una buona interpretazione sommessa e da martire) che le segue perché sicura di redimerle, per finire nelle grinfie di William Berger che le “vende” al principe orientale El Kadir (un Gordon Mitchell che si accontenta di apparire a brevi tratti con il suo solito ghigno) destinate a fare le prostitute, suora compresa. Grazie all’aiuto del comandante di una nave di nome Jeff, Tony Kendall ovvero Luciano Stella, riescono a scappare ancora e a piedi attraversano la Turchia, vengono violentate, alcune uccise, poi si trasformano in cavallerizze e donne d’azione con tanto di mitragliatrice finendo ancora tra le mani di El Kadir ma questa volta con le armi per sconfiggerlo. La suora si immola per loro. Un film che non è poi così orribile anche se scoordinato e con scene d’azione mal coreografate tranne quella finale dentro la rocca di El Kadir che non è male. “Notevolissimo (…) definito dalla fanzine francese ‘Nostalgia’ un ‘piccolo gioiellino del cinema bis italiano’, è un erotico avventuroso di una certa follia.” (Marco Giusti in Stracult, Sperling&Kupfer Ed.) (Voto 5,5) Ford unico possibile product placement.

Sul rimpiantissimo (lacrimuccia) Jimmy, canale tematico “pop” di Tele+ defunto ormai quasi 15 anni fa, era passato un musical lesbo-gay decisamente bizzarro, Isle of Lesbos (1997), presentato come Rocky horror picture show incontra Oklahoma, ma in realtà sarebbe più apparentabile alle follie Troma tipo Cannibal! The music o alle irriverenze di Rosa Von Praunheim. Sboccatissimo, antimilitarista e molto gay anche visivamente, con quei costumi da pride e quei colori pastello che ricordano le pin-up e le cartoline disegnate degli anni ’40. La storia ambientata tra i bifolchi bigotti di Bumfuck (!) un paese della provincia americana, vede una ragazza rifiutare il proprio matrimonio e tentare il suicidio per ritrovarsi, viva, vegeta e felice proiettata sull’isola di Lesbos insieme a tante ragazze che odiano il sesso etero. Il mancato marito arriverà sull’isola armato e vestito da Rambo per riprendersela e scoprirà la sua vera natura gay innamorandosi dello schiavo, unico maschio, dell’isola. Una quindicina di canzoni spudorate interpretate con bravura (notevole la performance piena di grinta della procace Danica Sheridan) dagli attori in costumi da amazzoni, adamitici, sadomaso o coperti di fango disgustoso. Una bizzarria (tanto più che è stata diretta da un regista, Jeff B. Harmon, che di mestiere fa il documentarista che denuncia gli orrori delle guerre) piena di verve, ironia e musica, difficile da incasellare e purtroppo anche da rintracciare. (voto 6,5) Non penso che le citazioni di Barbie e del cibo per gatti KitKat siano product placement.

Su FilmTv, unica rivista settimanale di cinema da edicola (i programmi tv sono importanti ma secondari rispetto agli approfondimenti cinematografici e alle innumerevoli recensioni poi raccolte nell’imprescindibile Annuario di fine anno), vi era una bella rubrica chiamata Scanners che elencava i film dimenticati e quelli meritevoli non arrivati in Italia. Purtroppo questa rubrica non esiste più. Ma andando a spulciare tra i numeri di quello che poi era diventato un supplemento della rivista trovo la recensione di Survive Style 5+, film giapponese del 2004 di Gen Sekiguchi che così è presentato da Nicola Cupperi: “Una sinfonia di follia in cinque movimenti (…) è una pazzia che corre alla velocità della luce, colorata e assurda, con una colonna sonora e una messa in scena coerenti con le turbe della sceneggiatura” e con una presentazione così perché non correre a recuperarlo e visionarlo? Quando le aspettative sono grandi solitamente un minimo di delusione c’è quasi sempre. Così accade con questa commedia effettivamente fuori di testa con un minimo di poesia e tanti assurdi comportamenti umani. Si intrecciano varie storie e vari personaggi. Un uomo, che si vanta di essere un killer che prova piacere nell’uccidere, ammazza sua moglie. Questa però non ne vuol sapere di restare morta e tutte le volte che lui la uccide (e lo fa ripetutamente), non solo ritorna in perfetta forma, ma sempre più forte e fa nero di botte il marito. Una pubblicitaria “alternativa” che vorrebbe nelle pubblicità volgarità e schifezze assurde per esaltare i prodotti (e non ha molto credito…) ha problemi con il marito e per questo assolda un bizzarro killer straniero (un divertentissimo quanto impettito Vinnie Jones!). Il marito è un mago ipnotista che viene ucciso da Jones durante uno spettacolo, proprio quando ha appena ipnotizzato un ridanciano padre di famiglia facendogli credere di essere un pollo! Quindi ci troviamo con una famiglia fino a poco prima “perfetta” che aveva l’uomo come punto di riferimento a ritrovarsi con un lo stesso a comportarsi da gallina! Insomma avete capito che l’assurdo è presente e il divertimento pure ma, come spesso avviene con tentativi di voler sembrare strani ad ogni costo, alla lunga il giochino tende all’usura. Ringrazio Cupperi per il consiglio (il film tra l’altro ha vinto il premio del pubblico al festival di San Sebastian del 2005) ma non concordo con lui quando scrive che “non nasconda autoreferenzialità e compiacimento”, penso che invece ci siano. (Voto 6,5). Una Buick e apparecchiature elettroniche Kenwood e Sony nel product placement del film.

 

Stefano Barbacini

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