L’inconsueto nome di Reality Winner sembra beffardo addosso alla protagonista di uno dei casi più chiacchierati (la donna ha subito la più lunga condanna mai applicata, 5 anni e 3 mesi per casi come il suo) di divulgazione di notizie top secret alla stampa.
Il caso ha ispirato una piece teatrale diventata poi un film sempre da parte della stessa scrittrice e regista, Tina Satter. Il film è intitolato semplicemente Reality (2023) che così può essere interpretato come nome della protagonista o come quella cosa che viene indagata, mettendo in scena il dramma della ragazza di fronte alla società, la realtà. Quella realtà che viene continuamente nascosta da fake news, dirottamenti di notizie, secretazioni, complotti reali o presunti tali.
Reality Winner è una veterana dell’Air force americana diventata (per la sua conoscenza di lingue poco frequentate come il parsi, il dari e il pashto, lingue mediorientali che si parlano in Iran e Afghanistan) traduttrice dal parsi all’inglese per un’agenzia governativa. In quanto tale aveva accesso a documenti top secret che, naturalmente, non poteva divulgare. Ma, incazzata contro il tentativo di insabbiare le influenze russe sulle votazioni che hanno portato Trump al potere (nel primo mandato, siamo nel 2017), decide di dare alla stampa un documento che ne parla.
La regista sceglie di produrre un testo che si attiene alla registrazione dell’interrogatorio degli agenti FBI alla donna, con perquisizione della sua casa, dell’auto e del telefonino. Quindi una scelta semidocumentaria e teatrale che però, nella sua schematicità e per contrasto, apre innumerevoli considerazioni su ciò che è giusto nascondere, sulla libertà di parola e di conoscenza da parte della collettività, sulla possibilità di avere tutti gli elementi per valutare cosa è giusto e sbagliato, ovvero chiedersi quando vince la realtà.
Ecco che allora nella recitazione naturalistica ma comunque (va da sé) fittizia di Sydney Sweeney, si innescano brandelli di realtà (foto e social in cui appare la vera Reality Winner, scorrere dell’audio originale dell’interrogatorio, flash televisivi, proteste a favore della donna) e “scomparsa” della stessa (quando alcuni nomi non possono essere riportati la protagonista letteralmente sparisce per riapparire subito dopo).
Il film riesce ad essere semplice nella sua teatralità ed unità di luogo, ma decisamente intricato e complesso per i temi che, latenti sottotraccia, naturalmente affiorano. (voto 6/7)
Un intervistatore palestrato indossa Under Armour, il telefono della Sweeney è un Samsung ma scambiato per un I-Phone. La donna è fotografata con una Nikon, indossa All Star rosse e cita Starbucks. Product placement del film.