Marcella Michelangeli è un’attrice che aveva decisamente delle qualità e avrebbe meritato miglior fortuna, purtroppo è invece ricordata solo per le sue vicende giudiziarie di droga e cattive compagnie che l’hanno fatta sparire dalla circolazione. Già agli inizi degli anni Settanta ebbe un tracollo psicologico durante le riprese del film La casa delle mele mature (1971) in cui la finzione si è drammaticamente saldata con la realtà. Dai ricordi di Erika Blanc (che ha una particina nel film) tratte da Amarcord, storica rivista di cinema di genere e poi ripresa nello Stracult di Marco Giusti: “Durante le riprese l’interprete principale (Marcella Michelangeli) ebbe un crollo di nervi reale e tentò addirittura il suicidio. Morale della storia, venne internata nella stessa clinica dove poco prima aveva lavorato come attrice… Portata via a forza dalle stesse infermiere che avevano lavorato con noi come comparse”. Il film di Pino Tosini è un oggetto spurio, Tosini racconta la storia di due amiche, Judy (Michelangeli) figlia di una borghesia a cui si ribella e per questo viene internata in manicomio e Marisa (Susanna Levi) una donna sposata ma infelice perché non ha superato il trauma di una violenza sessuale da bambina e a causa delle sue ossessioni sente il bisogno di denudarsi in pubblico e viene così considerata “matta”. Seguiamo le due donne entrare e uscire dall’incubo dei manicomi dove trovano elettroshock, docce gelate, privazioni, botte e “minestra con i vermi, odore nauseabondo, qui dentro ci si annulla, si diventa come bestie”. Tosini sembra voler seguire i dettami di Basaglia per denunciare la situazione dei manicomi dove basta poco per essere considerati matti e lo fa con una certa energia, soprattutto il finale è veramente forte portando al suicidio del personaggio della Michelangeli. L’atmosfera angosciante di queste scene potrebbe aver contribuito alla discesa infernale dell’attrice che in questo film è giovane, briosa e bella (quando nella prima parte interpreta “la ribelle” contestataria con un’acconciatura di capelli cortissimi che la fanno risplendere di vitalità) e al contempo capace di immedesimarsi nel dolore di una donna distrutta dalle incomprensioni sociali nel finale (il ricco fratello non fa nulla per farla uscire dal manicomio intento a seguire solo i propri affari). Immedesimatasi troppo, la fiction diventò realtà. Peccato che il film si perda in montaggi assurdi di insert softcore che poco hanno a che fare con la storia e servono solamente per aumentare il tasso erotico per le vendite e che ci si perda in alcune stupidaggini inutili per rimpolpare una trama troppo debole (la Levi che si innamora dello psichiatra, la Michelangeli ninfomane che si fa gli infermieri…). Curiosità, sia lo Stracult di Giusti che Imdb (ho mandato le possibili correzioni, vediamo se vengono recepite) riportano il nome degli attori abbinati ai personaggi sbagliati, la Blanc (che è una hippy contestataria e orgiastica senza nome) viene indicata come Judy, la protagonista, alla Michelangeli viene dato il ruolo di Marisa e la Levi come un’interprete di un ruolo di secondo piano. Sbagliate anche le attribuzioni degli attori maschi. (voto 5,5)
Terzo film di Mark il poliziotto per il divo dei fotoromanzi e del cinema Franco Gasparri, Mark colpisce ancora (1976) è l’ultimo film dell’attore prima del grave incidente che lo ha costretto ad abbandonare gli schermi. Diretto sempre da Stelvio Massi ha poco da spartire con i primi due capitoli, non c’è continuity (addirittura Mark non è più Terzi ma Patti) e non è veramente un poliziottesco ma più un intrigo internazionale da sotto-007. Mark è un infiltrato tra giovani hippies per scoprire ladri e spacciatori tra di loro, coadiuvato dal commissario Montelli (Giampiero Albertini) a cui non frega nulla del suo lavoro e cerca solo di avere meno grane possibili. Invece il nostro Mark è più ambizioso e coglie l’occasione di essere “ingaggiato” da una coppia di terroristi che operano tra Austria e Italia per diventare loro collaboratore sempre sotto copertura agli ordini di John Saxon nei panni di un agente dell’Interpol. Finirà in un vespaio di doppi giochi, connivenze tra criminali e agenti, massacri a cui scampa due volte per caso (la prima volta perché Malisa Longo gli fa perdere tempo mirando ad averlo con sé con mire sessuali, la seconda perché ha messo l’auto in sosta e vogliono rimuovergliela), e intrighi da strategia del terrore. Meno action e più fanta(?)politico dei precedenti (quanto fanta lo lascia decidere agli spettatori Dardano Sacchetti che esprime un’opinione per bocca di un pezzo grosso sul terrorismo: “Il terrorismo serve per lo spaccio di droga, per il contrabbando, per la prostituzione e non basta, questa è la parte meno importante, il terrorismo serve a far cadere governi, per modificare la politica mondiale, per influenzare l’opinione pubblica”), il film scorre nonostante la trama complicata e alcuni buchi nella stessa, sorretto da una buona prova di Gasparri (a detta di molti “stava incominciando a imparare a recitare”), dalle “facce da matti” di Paul Muller e John Steiner e da Marcella Michelangeli finalmente valorizzata in una parte che veste alla perfezione dimostrando che aveva i numeri per diventare la Françoise Fabian italiana se non avesse poi avuto i problemi personali che l’hanno allontanata dalla recitazione. (Voto 6) Inutile citare quando si parla di cinema di genere italiano J&B tra il product placement (naturalmente c’è), in questo film vi sono principalmente testate di settimanali (cult come Linus letto ad inizio film da Gasparri ma anche Panorama, Epoca e Der Spiegel) e quotidiani (La Stampa). Poi Fruit of the Loom, Nikon e tante auto, tedesche (Mercedes, Volkswagen) e americane (Ford).
Ancora terrorismo e ancora Marcella Michelangeli, donna con la pistola, in Italia: Ultimo atto? (1977) di Massimo Pirri. Non stiamo parlando di un bel film, ma Pirri ci ha abituato a mischiare attualità, politica e azione, ritratti impietosi di borghesia malata e outsider autodistruttivi, quindi le sue regie, anche quando non hanno particolare interesse cinematografico, lo hanno come fotografia di un’epoca, come finestra su problemi contingenti. Il film narra della preparazione di un attentato terroristico ai danni di un ministro (un anno prima del caso Moro) da parte di tre appartenenti ad un’organizzazione. Uno è Luc Merenda, ex insegnante sposato alla causa per cui un atto di violenza può trascinare la massa alla rivolta, la seconda è Marcella Michelangeli, figlia di buona famiglia con una bambina da crescere lasciata ai genitori mentre lei sta rovinandosi la vita per una fede che non si sa bene dove la porterà (e infatti si sta ponendo la domanda dentro di sé), infine c’è Andrea Franchetti “figlio del barone Franchetti, che si esibisce in una masturbazione con mitra e poi dichiara: ‘uccidere è come una pisciata’” (dallo Stracult di Giusti, Sperling&Kupfer). Il suo personaggio è totalmente a-ideologico, lui è pronto ad uccidere per il gusto di uccidere, appena uscito di galera è un delinquente “puro”. Nonostante il capo dell’organizzazione Lou Castel decida di annullare l’operazione (e per questo cerca di gambizzare Luc Merenda) i tre vanno fino in fondo anche se poi verranno sopraffatti dagli avvenimenti, dai cambiamenti politici, dall’opinione pubblica contraria. Il film non analizza psicologie o ideologie, semplicemente butta sullo schermo avvenimenti, decisioni già prese, vite già indirizzate verso l’annullamento più che verso la rivoluzione in che resta solo tutta loro. Pirri non ha una linea registica coerente e coesa, alterna immagini di manifestazioni e violenza documentarie alla fiction senza una personalizzazione stilistica. Resta comunque un qualcosa di atipico (forse il primo film sul terrorismo quando ancora non erano state fatte analisi documentate e critiche del fenomeno) e per questo capace di suscitare interesse. Non tra i critici che lo hanno massacrato. La Michelangeli ha creato il suo personaggio sulla falsariga di Maria Pia Vianale, terrorista appartenente ai Nuclei Armati Proletari da poco catturata e incarcerata; l’attrice ne è una controfigura praticamente perfetta. (voto 5/6) Quando si parla di action italiano anni ’70 se si citano Punt&Mes, J&B, acqua Pejo e Cynar tra il product placement del film, si va quasi sempre sul sicuro anche senza aver visto il film, qui ci sono tutti infatti con in aggiunta Bulova, un non comune Pschorr Brau e KTM.