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CINEMA
15 Marzo 2025 - 23:40

DIARIO VISIVO (When nature strikes back! 3)

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X contro il centro atomico; I giganti invadono la terra; War of the colossal beast; Il drago degli abissi; The lost world
DIARIO VISIVO (When nature strikes back! 3)

Anche la Hammer nel 1956 produce un film che tratta di un mostro creato dalle radiazioni, anzi che delle radiazioni si nutre. Si tratta di X contro il centro atomico (X the unknown) ed è scritto da Jimmy Sangster che sulla carta doveva dare un seguito al successo di L’astronave atomica del dottor Quatermass, ma che poi, per problemi di diritti, fu slegato dal precedente. “L’ho scritto partendo dall’osservazione che tutte le minacce dei film di fantascienza e/o i mostri sembrano arrivare dallo spazio esterno. Perché non fare una storia su uno che viene dallo spazio interno, uscendo direttamente dal centro della terra? In questo modo non avremmo dovuto costruire navi spaziali così complicate e costose.” Dichiarò Sangster sul film (come leggo da The Hammer Story di Marcus Hearn e Alan Barnes, Titan books). Sangster e il regista Leslie Norman (anche se il film fu iniziato da Joseph Losey che poi si ammalò!) sono più interessati a creare un’atmosfera di mistero e attesa che non a mostrare un mostro. Infatti solo nel finale possiamo vedere la cosa che atterrisce chi la incontra e ne viene letteralmente liquefatto. Si tratta di un blob prima di The Blob, in realtà non una gelatina ma lava radioattiva che ha assunto una qualche forma di intelligenza ed esce dal centro della terra per andare a cercare energia sulla superficie, nelle lande brumose della Scozia. Sulle sue tracce il professor Adam Royston (in pratica Quatermass con un nome diverso…) che ne intuisce la presenza nonostante lo scetticismo dei militari. Il complicato modo (penso decisamente fantascientifico) con cui il professore crea un dispositivo per disgregare la lava mortale (e che a suo dire potrebbe annullare gli effetti anche della bomba atomica) rende il finale piuttosto deludente, non all’altezza del resto. Comunque un prodotto che rifiuta di esplicitare troppo rischiando di rendersi ridicolo con effetti speciali per cui non vi erano abbastanza soldi per renderli accettabili. Certo non all’altezza del Quatermass uscito l’anno precedente ma esempio interessante di fantascienza problematica. L’esperto dei film Hammer, David Pirie, scrive sul catalogo della retrospettiva Hammer & dintorni (Bergamo Film Meeting 90): “ Questi film (dei quali X the unknown è il primo campione esemplare) riassumono con forza l’ansia del periodo e ovviamente fanno il paio con i film americani di <<mobilitazione totale>> del periodo della guerra fredda, come Them di Gordon Douglas. Sia in America che in Inghilterra, il genere costruiva molta della propria minaccia attraverso la descrizione insistita di massicci movimenti di truppe e centrava il proprio disagio sugli effetti delle radiazioni atomiche e del fall-out.” (voto 6)

Esperimento atomico in pieno deserto; un militare, Glen Manning, abbandona il riparo per salvare il pilota di un elicottero caduto dal cielo; le radiazioni dell’atomica lo investono. Corpo bruciato, finisce ai grandi ustionati all’ospedale in fin di vita. Ma la pelle si rigenera miracolosamente e le cellule impazzite continuano a riprodursi e l’uomo comincia a crescere di due/tre metri al giorno diventando presto un gigantesco essere che impazzisce per la sua mostruosità e comincia a distruggere i casino di Las Vegas. Nulla può nemmeno la fidanzata che viene sollevata come Fay Wray in King Kong mentre due dottori con un’enorme siringa tentano di fermarne la degenerazione. Inutilmente. Un piccolo film, girato dalla regia essenziale di Bert I. Gordon, specializzato nei B-movie con… variazioni di taglia dei protagonisti. Effetti speciali di bassissima qualità, sovraimpressioni fatte male, e modellini e oggetti simpaticamente ridicoli (sopra tutto la siringa gigante…) ma anche una certa profondità nella disperazione dell’uomo che sente di stare diventando un diverso, impossibilitato a ritornare alla serenità del passato e allontanato da possibili relazioni con gli altri. The amazing colossal man (assurdamente intitolato in Italia come I giganti invadono la terra) (1957) ha “effetti low budget che sembrano ridicoli oggi, ma la sincera performance del protagonista rende questo film memorabile” scrive John Gentile andando contro all’ingiusto 4,60 degli utenti di Imdb. Più o meno simili i commenti di Michael Wendon su The Psychotronic Encyclopedia: “gli effetti speciali fanno schifo ma come si può resistere gli ingenui film anni ‘50 di Gordon?” e di Halliwell sulla sua film guide: “piccolo film di sci-fi abbastanza ben scritto, rovinato da trucchi modestissimi” (voto 5,5)

Evidentemente The amazing colossal man ebbe abbastanza successo perché Bert I. Gordon pensasse di trarre qualche soldo anche da un sequel. Con la collaborazione di Arkoff, già sodale di Roger Corman, viene messo insieme in tutta fretta War of the colossal beast (1958), seguito del precedente con protagonista ancora il gigantesco Glen Manning, che non è morto nonostante abbattuto dai bazooka e finito nelle acque di una diga. Il film ha tutte le caratteristiche degli zero-budget artigianali che saranno la caratteristica dei Corman, poi dei Franco e dei Massaccesi per citarne qualcuno. Ad esempio non avendo più lo stesso attore del primo film, ne viene ingaggiato un altro che viene presentato parzialmente sfigurato (alla faccia della coerenza narrativa: le sue cellule non si riproducevano continuamente e velocissimamente?). Il tipo è ormai completamente pazzo e parla solo con versi gutturali. Un uomo-bestia interessato solo a procurarsi cibo svuotando grossi camion come fossero modellini giocattolo (ah beh, in realtà sono modellini giocattolo 😊). Alla sua ricerca non la fidanzata del primo film che qui non si sa che fine abbia fatto (stesso problema probabilmente della mancato ingaggio dell’attrice del precedente), ma una fantomatica sorella. Ambientazione messicana non male nella parte iniziale, dove il gigante viene catturato con pagnotte di pane drogato e si cerca di portarlo alla ragione. Sembra quasi avere sprazzi di lucidità quando comincia a ricordare gli eventi passati (mero espediente per poter riproporre gli stessi, pessimi, effetti speciali del primo film inserendo proprio le sequenze più “spettacolari” di quello e riempire così 5 minuti senza spreco di pellicola…) ma poi torna nella più totale pazzia e riesce a fuggire nuovamente (evidentemente ci si è dimenticati anche del fatto che il cuore non cresce come il resto del corpo e che i suoi giorni dovevano essere contati…). Solo nel finale rivedendo da vicino la sorella, capisce la sua irreversibile situazione esistenziale e decide di suicidarsi attaccandosi ai fili dell’alta tensione stradali, scena finale che, piccolo colpo di genio, viene girata a colori! Insomma un film per molti versi inutile e meramente speculativo ma che riesce comunque a provocare una certa simpatia proprio per questa artigianalità e capacità di cavar sangue dalle rape… “Più divertente dell’originale” lo trova Michael Weldon, lo Halliwell’s film guide lo ignora e Leonard Maltin intima di “lasciar perdere”. Bassissimo voto su Imdb (3,9), visto oggi, dopo le puttanate che troviamo in streaming, pretenziose e piene di bruttissimi effetti digitali, non riesco a non essere più clemente: (voto 5+). Chissà che i pochi soldi della produzione non siano arrivati dal Beverly Hotel, dai produttori dell’Old Hickory whisky o dalla TWA, brand presenti nel film e possibile product placement.

Con Il drago degli abissi (Behemoth the sea monster, 1959) si torna ai bestioni preistorici risvegliati a nuova vita dagli esperimenti atomici. Eugene Lourié praticamente replica il suo precedente Il risveglio del dinosauro (Beast from 20.000 fathoms) cambiando ambientazione d’origine (là eravamo nell’Artico, qui in Cornovaglia e la prima parte girata nei paesini e sulle coste frastagliate della regione britannica è decisamente interessante, riporta alle produzioni Ealing che di queste atmosfere marine nebbiose e solitarie ha fatto uno stile) per poi far approdare il dinosauro non più a New York City ma nel Tamigi in piena Londra (passa anche davanti a Westminster Abbey). Il gigantesco sauro (purtroppo gli effetti speciali, seppur con la collaborazione di Willis O’Brien, il creatore di King Kong, sono bruttini e le parti con la creatura sono assai deludenti come anche la sua distruzione finale) non distrugge e uccide con la sua forza ma emanando radiazioni dal suo corpo, infatti l’elettricità naturale che già possedeva si è tramutata in radiazioni venefiche causate, come il suo risveglio dagli abissi marini, dalle esplosioni atomiche. Il nostro “amico” John Gentile, che con il suo articolo su Scary monsters 29 ci fa da Virgilio nel mondo dei mostri causati dall’imperizia umana, scrive: “Eugene Lourie ha diretto questo film al meglio. Se gli effetti fossero stati migliori, avrebbe potuto aver miglior successo.” Il cinema è bello anche perché ognuno lo vede un po’ come vuole e Leonard Matlin capovolge il giudizio di Gentile: “Le animazioni di Willis O’Brien sono belle, ma il film è turgido (turgid!?ndr)”. “Eugene Lourie ricicla elementi dal suo Beast from 20.000 fathoms, li ambienta in Inghilterra e finisce per fare il più spaventoso film di mostri giganti in libertà mai fatto” leggo invece su The Psychotronic Encyclopedia. (voto 5/6)

Willis O'Brien molto meglio fece quando nel 1925 curò gli effetti dello splendido The lost world, primo di vari film tratti dal romanzo omonimo di Arthur Conan Doyle, diretto da un Harry Hoyt al suo massimo (mai fece di meglio). Un esploratore, George Challenger, scopre nella zona Amazzonica un altopiano isolato dal resto del mondo in cui dice di aver visto dei dinosauri vivi! Tornato a Londra nessuno gli crede ed egli provocatoriamente sfida pubblicamente chiunque a partecipare ad una spedizione pericolosa per ritornare al luogo. Accettano, tra gli altri, John Roxton, Edward Malone e Paula White (quest'ultima figlia di un esploratore amico di Challenger scomparso in Amazzonia) che reciteranno il siparietto romantico che Hollywood immancabilmente concede al pubblico. Arrivati in loco si ritrovano isolati sull'altopiano dopo che un albero che faceva da ponte con il resto del territorio è stato tolto da un... Brontosauro. Infatti è tutto vero, i dinosauri esistono e O'Brien ne costruisce di vari tipi (Tirannosauro, Allosauro, Pterodattero, Triceratopo...) e li fa combattere tra di loro in stop-motion. Combattimenti splendidamente e crudamente realizzati. Vi è anche la presenza (in realtà piuttosto inutile e che dà poco al film) di uno scimmione umanizzato che Bull Montana (un wrester italiano, Luigi Montana, emigrato negli Usa e poi spesso utilizzato per parti di bruto durante il periodo del cinema muto) interpreta indossando un costume scimmiesco. Finirà che una volta trovato il modo di tornare al mondo civilizzato, si porteranno a dietro un Brontosauro che, fuggito nel bel mezzo di Londra, comincerà a distruggere caseggiati e addirittura il London Bridge, per poi liberarsi in mare. Anche questa parte con il grosso animale che infrange modellini della città è meravigliosamente riprodotta. Alla bellezza del tutto (come dice all'inizio del film un intervento diretto su pellicola di Arthur Conan Doyle in persona, il film dà un'ora di gioia al bambino che è in noi) si aggiungono le ottime interpretazioni di Wallace Beery (un Challenger dispotico, barbuto e imponente), del fratello del regista Arthur Hoyt (il distinto Lord John Roxton unico a credere a Challenger e innamorato, non corrisposto, della bella Paula) e di Bessie Love nel ruolo di Paula che conquista con quegli occhi dolcemente tristi che ricordano quelli della più famosa Lillian Gish. (Voto 7). Durante una panoramica di alcuni palazzi di Londra spiccano varie insegne tra cui la pubblicità del film di Frank Lloyd Sea hawk, della Schweppes, dell'estratto di carne Bovril e del Whiskey Black & White, intelligente modo di fare product placement.

Stefano Barbacini

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