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CINEMA
15 Marzo 2017 - 09:21

BERGAMO FILM MEETING 2017

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Il tamburo di latta (Volker Schlondorff, RFT, 1979)
BERGAMO FILM MEETING 2017

Il maggiore interesse rappresentato dal Bergamo Film Meeting è la riproposizione di classici altrimenti difficilmente recuperabili su grande schermo. Nell’edizione 2017, pretesto una minisezione su alcuni film sceneggiati da Jean-Claude Carriere, viene ripresentato Il tamburo di latta importante opera di Volker Schlondorff tratta da un libro di Gunther Grass.

Intanto bisogna sgombrare il campo da un pregiudizio maturato negli anni, il film seppure piuttosto lungo (supera le due ore e mezzo) non è affatto quel macigno che solitamente sconsiglia la visione al pubblico. E’ purtroppo colpito dalla maledizione della Corazzata Potemkin fantozziana…

Il film, piccola saga famigliare di impianto realista (un realismo spinto alla Bergman per intenderci…) ma con notevoli deviazioni simbolico-surreali che attraversano il cinema felliniano e toccano quello bunueliano, racconta del terribile bambino-nano Oskar (occhi da “villaggio dei dannati” e “superpotere” che gli permette quando grida di rompere a piacimento qualsiasi vetro che lo circondi) della famiglia polacca Matzerath composta dalla nonna (che in passato nascose un soldato indipendentista in fuga sotto le proprie gonne… e restò incinta…), dalla figlia Agnes (Angela Winkler) e dai suoi… due mariti… In realtà il marito ufficiale è uno solo, Alfred (Mario Adorf), buzzurro proprietario di un alimentari pronto ad accogliere la causa nazista quando si presenterà l’occasione, ma il vero padre di Oskar è l’ebreo Jan Bronski (Daniel Olbrychski) che si aggira per casa e viene cavalcato da Agnes al giovedì in un alberghetto. L’ipocrisia della borghese famiglia Matzerath e la scarsa attenzione che la madre e i due padri gli concedono, portano Oskar, perennemente legato al suo tamburino di latta con cui disturba il mondo intero…, ad un atto di ribellione che consiste nel rifiuto di crescere.

Seguiamo così le vicende grottesche e drammatiche allo stesso tempo della famiglia e di Oskar attraverso la seconda guerra mondiale durante la quale l’adolescente dal corpo di bambino farà le sue prime esperienze sessuali (prima con una serva che gli diventerà matrigna poi con una bella nana che subirà una fine tragica) e cercherà di imporre la propria individualità fino al momento in cui, liberatosi di tutti i legami con i genitori per il trapasso di questi, seppellirà il tamburino e ricomincerà a crescere.

Il film è gustoso assai perché devia continuamente dalla linea narrativa, che rischiava altrimenti di diventare la “solita” storia di nazismo e morte, e tutt’altro che noioso. La Winker ci si mette d’impegno (anche corporalmente…), Adorf giganteggia per inettitudine (del personaggio) e boria, Olbrychski al solito conquista il posto grazie ai suoi occhioni stranianti. David Bennent nel ruolo del bambino è addirittura agghiacciante per presenza scenica.

Gunther Grass non accolse bene questa riduzione del suo libro perché Schlondorff si focalizzò più sui rapporti umani tra i personaggi che non sulla critica alla borghesia del tempo ma il film vinse ugualmente la Palma d’oro e l’Oscar. Peccato resti quella sua nomea di film “pesante” che rischia di farlo restare un classico poco visto.

Il detersivo PERSIL per quanto è esposto (scatoloni, pubblicità… praticamente è presente ovunque) dovrebbe aver finanziato almeno mezzo film con il suo product placement mentre molte altre marche sono visibili (in misura minore) nonostante si tratti di opera in costume. L’espediente è quello di essere ambientato in un negozio di alimentari che permette di mostrare o citare OSRAM, sardine MARIZA, HIMBER, LYSOL, PALMOLIVE… Abbiamo anche una registratore di cassa ANKER e MERCEDES in gran numero.

Stefano Barbacini

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