Una donna, un marito e due bambine. Il marito ha lasciato la prima moglie con cui ha avuto un figlio ormai adolescente, seppur ancora minorenne. Una testa matta che è cresciuto con la madre ma adesso viene accolto dalla nuova famiglia per recuperare il rapporto con il padre e per aiutarlo “a mettere la testa a posto”. Succede che la matrigna e l’adolescente cominciano a far sesso tra loro di nascosto. Ad un certo punto la situazione diventa rischiosa e la donna tronca la relazione per non rovinare la famiglia. Il ragazzo è sconvolto e non riesce a farsene una ragione, arrivando a dire tutto al padre. La donna però nega tutto e lo fa passare per bugiardo cacciandolo di casa. Questa è la trama che ha dato vita a due film di registe. Il primo, l’originale, è il danese Dronningen/Queen of hearts (2019). La regista May el-Toukhy pone l’accento sul fatto che la protagonista sia un’avvocata che si occupa di casi di violenza su minori e il suo rapporto con il minorenne va in netto contrasto con le sue idee professionali. Infatti il sesso, tutto d’istinto e partito da un desiderio di sentirsi ancora amata e “giovane”, porta a conseguenze disastrose sulla psiche del ragazzotto. Chiaramente un film che accusa la freddezza e l’ipocrisia borghese che difende se stessa nascondendo i segreti negli armadi.
In mano alla Breillat, regista del remake Ancora un’estate (2023) il film, con pochi ma fondamentali mutamenti, diventa altra cosa. Intanto del parallelo avvocata/aguzzina non le interessa molto, la professione della donna resta tale e i casi uguali, ma la protagonista di questo secondo film non è lei ad approcciarsi al ragazzo ma la cosa nasce spontanea tra i due. La prima parte del film è praticamente uguale a quella del precedente, addirittura spesso con le stesse parole di sceneggiatura, ma cambia solo una cosa, non vi è la scena in cui la donna si guarda nuda allo specchio. Questa scena è fondamentale per far capire, in Dronningen, che è lei la predatrice sessuale che ha bisogno di sentirsi ancora viva, mentre senza questa e con il bacio che scaturisce normalmente tra i due (nel primo lei va nella camera del ragazzo e comincia a toccarlo e gli fa una fellatio non simulata! Sempre che troviate una copia non tagliata del film…) in questo secondo film i due si amano per attrazione reciproca immediata. Questo cambio di prospettiva è ancora più evidente nel finale, completamente diverso tra i due film.
(SPOILER) Dronningen finisce in tragedia, il ragazzo se ne va cacciato, torna ed è nuovamente rifiutato, torna in Svezia e viene trovato morto. Girato come un thriller glaciale e in tono decisamente accusatorio, più che di una donna di una classe sociale, è un film prettamente “nordico” nella sua struttura e sviluppo. Invece la camera della Breillat è più calda ed intima, interessata all’incrocio dei corpi, a sostare fissa sul volto della donna in preda al godimento. Insomma all’attrazione sessuale e al suo sviluppo. Nel finale anche qui il ragazzo è allontanato ma quando torna durante la notte quando tutto sembra finito, lei si concede nuovamente a lui in un amplesso di folle tensione sessuale. Inoltre il finale, al contrario del film danese in cui tutto aveva una fine chiara nella sua algida atrocità, è “aperto”, la spasmodica attrazione tra i due ha qualcosa di malato ma non è la predominanza di uno sull’altro, è la passione che rode. C’est du Breillat madames et messieurs! (Voto 7- al primo, 7+ al secondo). Una lattina di Coca Cola in mano al ragazzo inaugura il product placement di Dronningen in cui troviamo una Volkswagen, I-pad e Mc della Apple, tute Adidas e scarpe Nike e, infine, un tagliaerba Kitto. La Volkswagen è sostituita da Mercedes in Ancora un’estate mentre il ragazzo sostituisce Coca Cola con Carlsberg per accompagnare un “gustoso” Big Mac. L’Apple qui è presente con l’I-phone. Chiudono una macchina fotografica Olympus e, soprattutto, un costoso braccialetto di Cartier.