Recupero un film che ha ormai vent’anni, e che non avevo mai visto, di un regista televisivo, David J. Burke, passato al grande schermo nel 2005 con questo film, Edison city, in cui impiega attori noti come Morgan Freeman, Kevin Spacey e Justin Timberlake, Dylan McDermott e il rapper LL Cool J. Si tratta di un poliziesco-noir che inizia in modo abbastanza coinvolgente in cui l’agente della sezione speciale F.R.A.T., una squadra particolarmente violenta e a cui viene permesso più del dovuto per “ripulire la città dallo sporco”, Lazerov (McDermott), uccide a bruciapelo uno spacciatore davanti al collega Deed (LL Cool J) e fa in modo che al processo venga accusato un altro spacciatore. Un giovane giornalista, Pollack (Timberlake) nasa che dietro questo processo ci sia del marcio. Aiutato da un “guru” del giornalismo (Morgan Freeman) e da un Federale (Kevin Spacey) scoprirà un intrigo che coinvolge anche la politica. Il marcio non è più nelle strade ma nelle alte sfere a Edison. Il film, che non è mai troppo sporco e dark come un noir che si rispetti e nemmeno troppo intrigante come dovrebbe essere un poliziesco (anche a causa di un Timberlake troppo pulitino) sbraga poi nel finale diventando un action con bazooka e lanciafiamme totalmente assurdo. (voto 5) Product placement minimo con Pentax e Ford.
Dopo vent’anni ho rivisto anche History of violence (2005) di David Cronenberg che ho trovato ancora più bello che non quando lo vidi allora. Anche alla prima visione questo tipico film di violenza ed esplosione dei rapporti famigliari in una cittadina della provincia americana mi era piaciuto, con quella sua ambientazione da paesino in cui tutti ci si conosce, in cui lo sceriffo è un amico da consultare, in cui ci si ritrova al diner con le ampolle piene di caffè bollente e i piatti di torta di mele o di ciliegia. Con quei cattivi duri e pericolosi scelti da un catalogo di attori navigati e con la faccia da schiaffi giusta (tra cui spicca naturalmente Ed Harris) e quelle esplosioni di violenza che vengono a turbare la pace di una comunità e ad interrompere un idillio famigliare (“ti amo come allora”, la bimba carina, il figlio adolescente bravo ragazzo che sa come districarsi tra i bulli della scuola). Anche allora avevo apprezzato la non banale ricerca sulle dinamiche della violenza, su come è difficile uscire da un passato in cui questa ha accompagnato la propria vita, come la reazione a provocazioni e minacce possa creare una progressione di atti violenti a cui è difficile poi mettere un freno. “Non mi sono imposto a priori che tipo di rappresentazione dare della follia. Volevo solo capire da dove nascesse questa violenza, cosa significasse per queste persone e dove avessero imparato a essere così violente.” e ancora “La violenza rappresentata nel mio film è molto intima, molto fisica: ci sono, è vero, delle sparatorie, ma sono molto ravvicinate perché la violenza che ci circonda è la violenza inflitta sul corpo umano” (dichiarazioni di Cronenberg prese da un’intervista di Marco Cacioppo e Manlio Gomarasca al regista e pubblicata su Nocturno n. 41). Però si era nel periodo in cui da Cronenberg si volevano film da… Cronenberg non un film dei fratelli Coen! Quel body horror a cui ci aveva abituati, così corrosivo, così visionario diventava qui un horror psicologico, un orrore da trattato morale e sociologico. Ma devo dire che aveva ragione Mauro Gervasini quando scriveva “E’ vero che è il più americano dei suoi film, naturalmente in senso critico, per quanto di culturalmente pericoloso c’è nel mito fondativo del Grande Paese. La violenza come strumento di nascita e crescita di una nazione ha provocato la mutazione del patrimonio genetico di una società, rabbiosa e micidiale anche quando normale. Ovviamente tra dieci anni tutti concorderanno sul fatto che A history of violence sia un capolavoro.” (da Nocturno n. 41). Se alcuni passaggi sono illogici e il finale da resa dei conti un po’ “troppo” tarantiniano, il resto è grande cinema con un Viggo Mortensen capace di trasformarsi da Jekyll in Hyde con minimi cambiamenti espressivi, una Maria Bello intensa soprattutto nella sorprendente scena del rapporto sessuale sulle scale, misto di emozioni e sentimenti (ha orrore di lui ma questa sua versione da “macho” la attrae quanto e più di quella del mite padre di famiglia che ha sempre amato in lui), Ed Harris con quell’occhio martoriato che si presenta con un misto di paternalismo e minaccia incombente in un’interpretazione che ha già replicato in tanti film, ma è sempre godibile e potente. (voto 7,5) Dal locale gestito da Mortensen, il tipico Diner americano, intravvediamo Pepsi, Winston e una macchina per il caffè Bunn, sul tavolo della colazione in casa Honey bunches, poi un furgone GMC, in un bar birra Lite e pubblicità in stile vintage della Yuengling. Questo il product placement nel film.
Per finire con i recuperi del 2005 ho visto su Prime Video Mr. & Mrs. Smith in cui il “cazzuto” ma ironico Doug Liman porta il suo amore per l’azione all’interno del rapporto di coppia. I due attori che venti anni fa erano considerati i più belli di Hollywood, ovvero Brad Pitt e Angelina Jolie, che proprio durante questo film iniziano la loro avventura di coppia nella vita reale che poi porterà ad uno dei matrimoni e dei divorzi più chiacchierati al mondo, interpretano marito e moglie che vivono insieme senza conoscere la vita nascosta uno dell’altra. Infatti entrambi sono dei killer che lavorano per agenzie concorrenti. Quando la loro professione li mette uno contro l’altro (entrambi dai rispettivi datori di lavoro hanno ordine di eliminare il coniuge entro 48 ore) tenteranno a più riprese di eliminarsi a vicenda per poi capire che si amano troppo per uccidersi. Metafora anticonvenzionale dei contrasti di coppia che si trasforma in un action adrenalinico in cui le frasi che si dicono quando si entra in contrasto con il partner (“parliamone” oppure “non andiamo a letto arrabbiati”…) vengono dette durante acrobatiche corse in auto e colpi di pistola e bazooka per eliminarsi. Il matrimonio e la vita matrimoniale bistrattati sia dal loro psicanalista (“non ci parliamo più, come potremmo definire questa fase” risposta “matrimonio!”) che dall’amico di lui che non vuol saperne di legami. Tra ironia e roboanti scene di esplosioni e mitragliate ci sorbiamo il filmetto con quel po’ di divertimento che ci riesce a dare. C’è da dire che l’accumulo di avvenimenti (troppo belli i due attori, troppe le scene incredibili d’azione) per assurdo porta alla noia (voto 5/6). Infinita la sequenza di product placement, citiamo solo i più evidenti come Guinness, Panasonic, Mercedes, Sambsung, Puma ma ne ho contate almeno una quindicina.