L’emigrazione dal villaggio alla grande città per riuscire a “sopravvivere”, l’isolamento che questo comporta per una donna senza marito, la lontananza dello sposo con il problema dell’emigrazione in un’altra nazione (Germania) che disgrega il legame, la difficoltà di avere una casa (due delle protagoniste sono costrette a convivere, l’altra sta per essere sfrattata), le differenze religiose (due ragazzi si amano ma una è induista, l’altro musulmano e… non va bene), la mancanza di libertà di amarsi (difficile trovare un posto dove fare all’amore nascosto quando basta che ti vedano accompagnato a qualcuno per passare da prostituta).
Tutto ciò viene mirabilmente raccontato da Payal Kapadia, esordiente regista indiana nel cinema d’autore, quello ai margini di Bollywood (la differenza la si può notare anche nell’affrontare l’argomento “sesso” con una spigliatezza non consueta in questa cinematografia con una scena di nudo e un rapporto sessuale piuttosto spinto) nel suo film All we imagine as light-Amore a Mumbai che appare in moltissime classifiche di siti e riviste di cinema a fine 2024 tra i migliori film dell’anno. Si narra di tre donne nel caos di Mumbai, tre infermiere di tre età differenti. Una più anziana che, ormai vedova, vive da sola in un appartamento che deve lasciare per una mera questione burocratica, una giovane che è quella che ha la tresca con il ragazzo musulmano e una donna di mezza età che vive nel ricordo del marito emigrato in Germania. Le seguiamo nelle loro ordinarie vite, piena di speranze quella della giovane, melanconica quella della donna di mezza età (che sembra invidiosa della storia d’amore della giovane che evidentemente la riporta ad un passato ormai non più rinnovabile), rassegnata quella dell’anziana.
Il racconto ha il suo apice e la sua conclusione quando la donna più in là con gli anni è costretta a tornare al villaggio natale in riva al mare, seguita dalle altre due amiche. Qui tra eventi reali e immaginari (ricorda un po’ le atmosfere dei film di Apichatpong Weerasethakul) troveranno una specie di serenità, probabilmente temporanea ma confortante, nella loro amicizia.
Fotografia densa, racconto con sguardo documentaristico, la Kapadia non esagera mai nell’esposizione dei sentimenti rendendoli ancor più decisi nell’animo dello spettatore. (voto 7)
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