LA BOCCA DEL LUPO – Pietro Marcello (2009)
Solitamente quando si parla di documentari si tende ad interessarsi unicamente all’argomento trattato. Se è trattato bene e interessa allora il documentario è bellissimo. Solitamente però nessuno bada troppo in questo genere all’immagine, al montaggio, alla realizzazione del film, insomma.
Spesso passano per stupendi dei filmati formati solamente da riprese di gente in primo piano che parla. Solo alcuni commenti fuori campo e un po’ di musica d’archivio bastano per farne un bel film magari perché raccontano una vicenda di drammatica vita vissuta che ci coinvolge.
Si tende a confondere reportage giornalistico con la pratica documentaristica che negli episodi migliori sconfina nell’arte, vedere ad esempio i film di Robert Kramer o di Chris Marker.
Questo preambolo per parlare della meravigliosa opera di Pietro Marcello, vincitrice non a caso del TFF (Torino Film Festival), La bocca del lupo, opera esemplare di quanto sopra esposto.
Il film è sicuramente un documentario, un documentario su Genova, un documentario su un amore di una coppia di outsider, un documentario sull’emarginazione sociale.
Ma l’opera di Marcello è anche un montaggio di immagini di repertorio perfettamente amalgamate con il girato odierno grazie ad invenzioni visive che portano il film a trascendere verso la video arte.
Utilizzando materiale preesistente e inserendo nella storia di Genova quella della coppia di due uomini innamoratisi all’interno di un carcere (sono un uomo e un transessuale) che cercano di sopravvivere nella trappola dei vicoli della vecchia Genova, una volta raggiunta la libertà, vivendo una situazione di grande povertà. Il mare che si apre oltre gli scogli della città ligure, sinonimo di libertà, approdo e fuga, sembra lontanissimo dalla realtà sconsolata degli emarginati che vivono all’interno della città non potendo fuggire da nessuna parte, se non tra le braccia di un altro essere umano.
Il regista interviene a posteriori sulle immagini proprie e altrui ricolorandole, modificandole, rivoltandole, permettendo ai trucchi di Meliès di travolgere il racconto realistico di Lumière e reinventare il cinema ritornando al linguaggio dei primi sperimentatori. Queste considerazioni le ho già fatte parlando del film horror coreano Night Fishing, film completamente diverso, quasi agli antipodi di quello di Marcello ma che condivide con questo la ricerca di una magia da ritrovarsi in un iconografia che si allontani da quella perfettamente definita dell’HD.
In un piccolo film di questo tipo, nato dalla volontà di una Fondazione Onlus (la S.Marcellino) nata per aiutare proprio gli emarginati, girato con pochi soldi, non possiamo certamente trovare grandi marche (chiaramente le bottiglie di Ballantines, Amaro Averna, Montenegro, J&B all’interno di un bar sono “documentaristiche”) ma comunque esempi di piccolo product placement si evincono dai titoli di coda con il ringraziamento dei luoghi dove il film è stato girato, al di là della Genova Film Commission sono ringraziati una latteria e un paio di altri locali oltre naturalmente al NEW FRISCO BAR che presta le sue mura per ricevere le confessioni di Enzo e Mery, gli indimenticabili protagonisti del film.