E con questo sono 100 i film diretti da Takashi Miike nella sua carriera, iniziata con film assolutamente fuori controllo e underground (che ho paura rimpiangeremo per sempre), per poi adeguarsi ad un cinema più redditizio e popolare. In particolare negli ultimi anni sembra si sia specializzato nell’adattamento di manga di grande successo. Al Neuchatel International Fantastic Film Festival 2017 era presente di persona e portava con sé la bellezza di quattro riduzioni di libri a fumetti.
Blade of the immortal è quello, dei quattro, in cui le sue capacità registiche si esaltano di più e il manga di Hiroaki Samura gli dà la possibilità di tornare al cinema di samurai, il genere già affrontato nel 2010 con l’ottimo 13 assassins, remake di un classico e per questo ben più misurato e “perfetto” di Blade…, ma con piglio anarchico e sopra le righe.
La violenza dei combattimenti si fa coreografia di un massacro riempiendo lo schermo di cadaveri ed arti mozzati in cui l’Alexander Nevski di Eisenstein incontra il Ran di Kurosawa per approdare ad una plasticità orrorifica di una performance di Hermann Nitsch.
Manji compie una strage di spadaccini per salvare la sorella che nonostante tutto viene uccisa da un impietoso bandito. Per espiare le sue colpe una vecchia strega lo condanna alla vita eterna a rimuginare per i suoi dolori. Infatti dei piccoli vermi inseriti sotto la pelle dell’uomo fanno in modo che quest’ultimo rigeneri sempre e comunque la carne ferita anche mortalmente, rendendolo immortale.
Ritiratosi in disparte dalla vita attiva verrà cercato da una ragazzina, Rin, che ha da vendicare il padre ucciso e la madre costretta a violenza sessuale e poi alla morte. Autori della nefandezza sono i componenti di una scuola di spadaccini che ha come scopo il predominio nel campo. Manji si prenderà a cuore il destino della ragazzina e per i due inizierà un percorso di sangue e violenza…
Miike non si trattiene e scatena tutta la sua voglia di action e virtuosismi esagerati dimostrando di sapere come si riesce a rivoltare un genere, senza concessioni (cosa non consueta nelle sue ultime opere…) ad un facile umorismo per accattivare il grande pubblico.
Un opera irrefrenabile e potente che non contiene (essendo un period drama) product placement.