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CINEMA
9 Ottobre 2024 - 23:39

DIARIO VISIVO (In giro per il mondo sulle piattaforme)

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Quo Vadis Aida; Behind the haystacks; Menashe
DIARIO VISIVO (In giro per il mondo sulle piattaforme)

Di ritorno da un interessante quanto struggente viaggio in Bosnia per capire meglio cosa sia accaduto nei Balcani tra il 1992 e il 1995 con particolare attenzione all’assedio di Sarajevo (più lungo di quello ben più famoso di Leningrado nella seconda guerra mondiale) e al genocidio di Srebenica (un’intera popolazione di uomini mussulmani massacrati e seppelliti in fosse comuni dalle truppe serbe comandate dal criminale di guerra, come da sentenza del tribunale de L’Aja, e tutt’ora costretto in carcere a scontare l’ergastolo, Ratko Mladic) con toccanti testimonianze di alcuni sopravvissuti, mi guardo il candidato al premio Oscar 2021 Quo Vadis Aida (ora su Mubi) della bosniaca Jasmila Zbanic che racconta esattamente quello che ho appena appreso dalla viva voce dei testimoni diretti e di Roberta Biagiarelli che tramite il suo monologo teatrale A come Srebenica da anni cerca di ricordare e rielaborare questo genocidio mai troppo ricordato in Europa. L’11 luglio 1995 le truppe di Mladic arrivano, dopo mesi di assedio, in Srebenica, territorio sotto protezione Onu!, senza problemi, non incontrando nessuna opposizione da parte dei soldati olandesi inviati dalle forze internazionali. Qui dividono la popolazione mussulmana tra uomini e donne, queste ultime vengono messe su corriere insieme ai bambini e cacciate dalla città mentre gli uomini vengono trucidati dopo aver loro assicurato che non sarebbe loro fatto nulla. Un episodio terrificante di storia che rivive sotto gli occhi della protagonista, l’intensa Jasna Djuricic, che interpreta una madre, traduttrice per le “inutili” trattative tra gli uomini dell’Onu (completamente abbandonati dai superiori) e Mladic, che fa di tutto per cercare di salvare gli uomini della sua famiglia, il marito e i due figli, implorando gli ufficiali olandesi e cercando sotterfugi disperati. La Zbanic gira sui posti reali (nella fabbrica di batterie navali in disuso dove furono radunate circa 20 mila persone di cui 8372 - numeri ufficiali ma probabilmente sottostimati – uomini e ragazzi uccisi senza pietà) con una camera nervosa per, giustamente, riprodurre i confusi e frenetici movimenti di persone che non capivano a cosa stavano andando incontro. (voto 7+)

Da una parte la crisi greca che costringe le persone ad arrangiarsi come possono per sopravvivere, dall’altra il dramma dei migranti che cercano di sconfinare dalla Macedonia verso la Grecia. In questo contesto l’esordiente Asimina Proedrou, nel suo pluripremiato Behind the haystacks (2022), ambienta una trama composta a tasselli di puzzle che solo alla fine ci permette di comprendere una vicenda di migranti morti, scafisti per disperazione, omicidi e ipocrisia bigotta. Partendo dal ritrovamento di due cadaveri viene narrata una la vicenda da tre punti di vista diversi. Quello di Stergios (il padre) che per riuscire a portare in famiglia un po’ di denaro accetta i traffici del cognato e con la sua barca da pescatore si inventa scafista, quello della moglie, una donna devota alla chiesa e disposta al silenzio per difendere la famiglia come da precetti “cristiani” ed infine da quello della giovane figlia, apprendista infermiera, che si innamora di un più anziano amico del padre. Solo alla fine dei tre capitoli avremo il quadro della tragedia e della ambiguità dei personaggi. La Proedrou infatti racconta aggiungendo tasselli poco alla volta restando a ridosso dei personaggi con riprese fluide e piene di elisioni che lo spettatore può riempire solo seguendo le azioni non conseguenti di tutti i tre personaggi. Interessante lo stile scelto (seppur ormai non più una novità) che dà profondità alla narrazione. Un’altra promettente rivelazione del cinema greco. (voto 6/7). Nesquik, LG e Nokia tra il product placement.

“Per me, fare un film è principalmente osservare e apprendere. Quando ho scoperto questa comunità chassidica, ero molto curioso di entrarvi e di comprendere un mondo che mi era estraneo (…) La storia è ispirata dalla vita reale dell’attore Menashe Lustig (il protagonista ndr)”. Joshua Z. Weinstein è un regista indipendente di Brooklyn che ha iniziato girando documentari e lo sguardo documentario è anche quello che ha usato in Menashe (2017). Girato con attori non professionisti, per il suo interessante piccolo film il regista dice di ispirarsi al cinema “realista” di Satyajit Ray (la trilogia di Apu) e alla tecnica dei Dardenne per poter cogliere il sentimento del protagonista senza spettacolarizzarlo: “Io penso che bisogna educare gli spettatori ad abituarsi a questo genere di sguardo <<non spettacolare>> sul quotidiano, diventato raro oggi in un cinema americano fondato sull’azione e la performance tecnica”. Il quotidiano di cui si parla è quello di Menashe, uomo goffo e infelice (una specie di Charlot sovrappeso), che non può portare che ad un sorriso empatico nei suoi confronti nonostante la sua difficile situazione, vedovo e per questo, viste le rigide regole dell’ebraismo chassidico (un uomo non può vivere senza una donna), costretto a separarsi dell’amato figlio avuto dalla moglie defunta. Si arrabatta in un lavoro da commesso cercando di dimostrare di essere in grado di badare al figlio, inanellando errori uno dietro l’altro (arriva in ritardo a scuola, si ubriaca, insegna al figlio rumorosamente in biblioteca, fa bruciare il cibo). Una figura patetica trattata in maniera tutt’altro che patetica. Il suo dramma si sviluppa all’interno di una microsocietà chiusa e rigida nei propri convincimenti da cui lui non riesce a staccarsi subendone le drammatiche conseguenze psicologiche. (Voto 6,5) (I brani di intervista sono tratti dal numero di ottobre 2017 dei Cahiers du cinema). Nel suo lavoro di commesso, il nostro, consegna vari scatoloni di prodotti tra cui Crystal e pesce Raskin’s. Voluto product placement?

STEFANO BARBACINI

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