E un anno dopo Assalto alla terra, la Universal replica con gli insetti giganti (queste due prime opere sono sicuramente le migliori poi ne arriveranno altre, che vedremo, sulle ali del buon successo di queste). Stavolta è una Tarantola (Tarantula,1955) ad essere ingigantita e l’uomo che è causa di tutto è questa volta il mad doctor Deemer (interpretato da Leo G. Carroll con il suo volto particolare che lo fa sembrare ad un bracco). Quindi ancora violazione delle leggi naturali ma sotto sotto con uno scopo a fin di bene, infatti il siero che fa ingigantire gli insetti doveva diventare, nei progetti del dottore e dei suoi assistenti, un cibo sintetico che avrebbe salvato il mondo. Quindi il monito è, va bene il progresso che aiuta l’umanità, ma attenzione agli effetti collaterali! Che in questo caso sono uomini che diventano mostruosamente deformi dopo l’iniezione affrettata della soluzione e, appunto, una tarantola che diventa gigantesca e, come le formiche di Them!, profonde veleno in grandi quantità ed uccide uomini e bestie. Il film è praticamente diviso in due parti. Tutta la prima parte segue gli esperimenti del mad doctor con gli incidenti di percorso e vede entrare in scena l’eroe (John Agar che rivaleggia con Richard Carlson per il ruolo di attore feticcio di b-movie horror) e l’eroina (in questo caso una delle attrici più belle che abbiano incarnato il lato sexy di questo genere di film, Mara Corday che si presenta con “l’uniforme ufficiale” camicetta, gonna a tubino e scarpe con tacco, completata da un cappellino sulla ventitrè) che è la nuova assistente del dottor Deemer dopo la morte dei due collaboratori precedenti. La parte riservata alla tarantola, fuggita dal laboratorio, è solo la seconda parte, quella che sembra un compedio del film precedente di Gordon Douglas. Scoperta della creatura gigante, veloce analisi scientifica con un breve documentario sulla pericolosità delle tarantole, un attacco al laboratorio girato con buona inventiva e, infine, intervento dell’aviazione con il napalm per incenerirla (la bomba è lanciata da… Clint Eastwood!). Al comando dell’operazione vi è ancora il Jack Arnold che l’anno prima ci aveva dato il mostro della laguna nera. L’abilità riconosciuta di Arnold è quella di esplorare le ambientazioni estreme (qui ritorna il deserto come in Them!) e di portare avanti il racconto senza mai annoiare anche se solo per mostrarci il corteggiamento di Agar alla Corday. Insomma niente tediosi trascinamenti per allungare la pellicola. “Moderata sciocchezzuola con mostro e set nel deserto che diventa un cliché; i grotteschi volti sono più terrificanti del ragno, che raramente sembra toccare terra” (Halliwell’s film guide). “Uno dei migliori film con creature giganti basato su un episodio di The Science Fiction Theatre TV show.” (The Psychotronic Encyclopedia of film, Michael Weldon). “Buon ritmo, convincenti effetti speciali.” (Morandini) (voto 6+) Palace Hotel e la compagnia di bus Western bus Co. il product placement del film.
Ed è ancora Mara Corday che ritroviamo in Lo scorpione nero (Black Scorpion-1957) a fronteggiare questa volta degli scorpioni giganti usciti da un vulcano in eruzione e provenienti direttamente, come la creatura del lago nero, dalla preistoria. Lei è un fazendera che si innamora dell’eroe (in questo caso Richard Denning, un altro tipico fusto da B-movie), un geologo giunto a San Lorenzo a valutare gli effetti della disastrosa e potente eruzione. L’inizio del film ha tutto del filone catastrofico, eruzione, gente che scappa, distruzione; fino all’apparizione degli scorpioni che si scopre hanno il nido all’interno del vulcano in una grotta sotterranea. A questo punto il film diventa un fantastico tipo Viaggio al centro della terra con vermi e scorpioni preistorici enormi (piuttosto ben fatti) e mossi in stop motion da Pete Peterson e Willis O’Brien. Il massimo della goduria l’abbiamo quando gli scorpioni combattono fra loro e ne esce vincente il terribile Black Scorpion che poi assalta anche un modellino di treno. Divertente anche se poi nel finale si trascina verso il minutaggio con poche altre idee. La produzione non è Universal questa volta ma del duo Jack Dietz e Franck Melford, con distribuzione MGM. Al comando il carneade Edward Ludwig, uno dei tanti artigiani hollywoodiani della regia molto prolifici ma poco ricordati. “La stupefacente animazione da parte del Willis O’Brien di King Kong è la parte migliore di questo sci-fi thriller su giganteschi aracnidi usciti da una fenditura di un vulcano in Messico. Fondamentalmente un remake del superiore Them! (Leonard Maltin’s Guide) “Un film low-budget girato in Messico che include eccellenti effetti di animazione stop-motion (fatti in tutta fretta) da O’Brien e Peterson. I terrificanti enormi scorpioni fanno apparire i mostri di molti altri film patetici.” (Psychotronic Encyclopedia of film, Michael Weldon). “A parte una genuinamente terrificante sequenza nella tana dello scorpione, si tratta di un monster movie povero in cui la fotografia eccessivamente scura sembra cercare di coprire il lavoro di trucchi di alterna qualità” (Halliwell’s film guide) (voto 5,5) Jeep unico possibile product placement del film.
Ma anche la Universal insiste sugli insetti giganti e produce La mantide omicida (Deadly Mantis, 1957) diretta da Nathan Juran, regista austriaco naturalizzato statunitense che si è specializzato negli anni in film fantastici e di fantascienza. Qui il regista e lo sceneggiatore ci danno un esempio classico del genere di cui stiamo trattando. Infatti rispettano tutte le regole narrative che ormai si sono cristallizzate. 1. Il fenomeno per cui nasce il mostro (o radiazioni o capovolgimenti atmosferici): in questo caso un’eruzione vulcanica causa vibrazioni e surriscaldamento fino all’estremo nord liberando 2. la creatura gigante che o è stata trasformata oppure è un animale preistorico riportato alla luce (qui siamo nel secondo caso). 3. L’eroe, in questo caso il colonnello Joe Parkman (interpretato da Craig Stevens, attore che in pochissime occasioni è stato protagonista). 4. Lo scienziato, in questo caso il paleontologo Dr. Jackson (William Hopper dalla vaga somiglianza con Richard Gere) incaricato di scoprire quale essere ha causato morti misteriose. 5. La screamgirl e oggetto del desiderio dell’eroe, qui la fotografa Marge, sempre in tailleur, gonna e tacchi alti anche in situazioni estreme, interpretata da Alix Talton, un’ex-miss attiva soprattutto nel ventennio 1940-1960, ebbe anche una parte in L’uomo che sapeva troppo di Hitchcock. 6. La presentazione scientifica. Di solito si usano materiali d’archivio documentaristici, nel nostro caso se ne fa un uso ampio sia per illustrare le difese radar dell’esercito statunitense, sia per spiegare cosa è una mantide religiosa. 7. L’inseguimento dell’essere che nel frattempo da una zona estrema (di solito un deserto o una zona ghiacciata) si porta verso una città importante come New York, in questo film, causando distruzione. 8. L’uccisione con l’eroe che si incarica dell’azione più pericolosa e poi riceve come premio l’amore della ragazza. 9. Il monito ecologico che qui è flebile ma potrebbe essere che il riscaldamento dei ghiacciai potrebbe portare disastri tra cui l’apparizione di esseri o virus, ora inattivi nel ghiaccio. A differenziare questi film l’uno dall’altro restano, la costruzione della creatura che in questo caso è una mantide meccanica in doppia versione “terrestre” e “aerea” a mio parere ben fatta, e le idee del regista. Juran qui decide di dividersi tra la neve e il ghiaccio della prima parte e la nebbia e il fumo del finale che fa sembrare New York la Londra di Sherlock Holmes. Il film non fu ben accolto dalla critica ma neppure dal pubblico. “Film come Deadly Mantis hanno contribuito a far scemare l’interesse per la festa degli insetti gicanti con il suo banale pupazzetto” (John Gentile, cit.). “Monster movie assurdo e mal realizzato” per Halliwell’s Film Guide, “Film stupido con molto materiale d’archivio” Weldon’s Psychotronic Encyclopedia. Sulla Guida di Maltin invece un po’ più di generosità: “N.Y.C. è ancora minacciata, qui da un insetto gigante arrivato al sud dall’Artico dopo un tour de force; l’obbligatoria love story interrompe dei begli effetti speciali”. (voto 5,5)
E riecco Ray Harryhausen con la sua stop-motion a dare vita non più ad insetti king-size ma ad un polpo gigantesco che viveva nelle profondità dei mari ed è stato costretto a salire in superficie a causa della bomba H. Il film in questione è Il mostro dei mari (It came from beneath the sea, 1955) del non certo memorabile Robert Gordon, regista mediocre che rende molto piatto e scontato questo b-movie che trova il suo unico interesse proprio nell’assalto del polpo a San Francisco e negli effetti speciali, invero piuttosto naif in questo caso, di Harryhausen. Peccato che queste scene occupino solo il quarto finale del film, il resto (un’oretta circa) sono chiacchiere e amoreggiamenti sulla spiaggia. Il solito trio di protagonisti, il militare, comandante di un sommergibile, Pete Mathews (un onesto Kenneth Tobey), il dottor John Carter (lo scialbo Donald Curtis) e la biologa, nonché presto amante di Mathews, Leslie (la sensuale Faith Marie Domergue) deve industriarsi per rintracciare la creatura e per farla fuori. La solita storia con poche varianti. La Domergue fu compagna di Howard Hughes, sposa di Hugo Fregonese e di altri tre mariti. Bazzicò parecchi film di genere approdando anche in Italia (lavorò per Scavolini, Fulci, De Martino e altri) ed è, tra le scream-queen dei B-movie che stiamo trattando, una delle più spigliate sessualmente, estorce confessioni con il suo fascino, gira con generosi decolleté e indossa costumi da bagno amandosi in riva al mare con il protagonista. “Le scene con i giganteschi tentacoli che strisciano per le strade, fermati da uomini con i lanciafiamme sono grandiose” (John Gentile, *). (voto 5,5) Alcuni locali di San Francisco (Cafè Jean e altri) potrebbero essere product placement.
Poche variazioni anche in Il mostro che sfidò il mondo (The monster that challenged the world, 1957) in cui vediamo un enorme mollusco preistorico (chiamato in originale Kraken rifacendosi al leggendario mostro marino e in italiano terribilmente tradotto in Creaca…) riaffiorare dagli abissi marini a causa di un terremoto dovuto ad esperimenti atomici (come ne Il mostro dei mari). Solite morti sospette, solita sostanza da esaminare e solito trio di protagonisti, il militare John (un Tim Holt ormai lontano dalla fama dei suoi western di serie B e notevolmente imbolsito dagli anni), lo scienziato Dr. Rogers (Hans Conried) e la bella segretaria Gail (Audrey Dalton) e tutto il resto come da copione (qui come in Assalto alla terra non è troppo difficile eliminare i bestioni ma c’è il pericolo dell’infestazione a causa delle uova che rischiano di far nascere migliaia di loro e mettere il mondo in scacco). Il mostro è meccanico e piuttosto inquietante ma ancora più inquietanti sono i cadaveri disidratati delle vittime. In verità Arnold Laven (regista di solo una decina di film ma poi prolifico produttore e regista televisivo) cerca di dare qualcosa in più alla trama dando una consistenza alla presentazione delle vittime che non restano praticamente anonime come negli altri film. Ad esempio vengono uccisi due innamorati, un militare e la sua ragazza; quest’ultima è interpretata da Barbara Darrow (attrice poco attiva e semisconosciuta ma che qui buca lo schermo come una Brigitte Bardot agli esordi) ed è una ragazza moderna e sensuale che si ribella alla madre che non la vuole così “sbarazzina” e per questo, moralisticamente, viene punita con la morte (fin da allora negli horror americani di solito trasgredire equivale a morire). Uno dei sommozzatori, che è pure lui tra i “succhiati” dal mostro, ha una moglie incinta e la presentazione del character della donna (Marjorie Stapp) è insolitamente curato prima della tragedia proprio per far sentire il dolore della perdita del marito. Anche Gail non è la semplice compagna d’avventure dell’eroe che poi diventa sua innamorata; ha un passato, era la moglie di un aviatore morto in un incidente, ed ora vedova ha a carico una graziosa quanto discola bambina che metterà in grave pericolo lei, la madre e John nel finale risvegliando uno dei mostri. “Degno di nota per essere uno dei pochi film con protagonista una creatura gigante a presentare un modellino meccanico abbastanza credibile” (John Gentile, *). “Film sopra la media di quelli con ‘insetto gigante in libertà’, ambientato nel Salton Sea, dove colossali crostacei (come grandi bruchi in gusci di chiocciola) minacciano l’umanità. Intelligente, senza strafare, con bei mostri” (Maltin’s Film Guide) (voto 6-) Insolitamente, per questo genere di film, abbondante il product placement. Una macchina da scrivere Underwood è utilizzata da una segretaria al distretto militare, un orologio Longines è consultato da John, la Coca Cola e Chesterfield appaiono in pubblicità, le auto sono Plymouth, poi una breve apparizione di Lux e un articolo che potrebbe spiegare l’arrivo dei mostroni si trova su Life.