Dal n. 1 di Asylum di fine 2019 (rivista di genere horror interessante ma ahimé defunta) leggo un articolo su Floria Fricke, il leader dei Popol Vuh morto prematuramente a 57 anni nel 2001. Nell’articolo di Mauro Malgrande vi è un focus particolare sulla colonna sonora di Nosferatu, principe della notte (1978) di Werner Herzog. Questo mi invoglia a recuperare la visione del film di Herzog, cosa che posso fare facilmente dato che lo trovo su Amazon Prime in un’ottima versione. Omaggio al film di Murnau del 1922, in cui il vampiro non ha i canini aguzzi per succhiare il sangue ma gli incisivi centrali e questi vengono applicati al volto già inquietante di Klaus Kinski, perfetto sosia del mitico e mitizzato Max Schreck (leggenda vuole che fosse un… vero vampiro). La storia non si distanzia molto dal libro di Stoker e dal film di Murnau, se non che più di un’ora è dedicata al viaggio di Jonathan Harker (Bruno Ganz) verso il castello di Dracula e al suo ritorno parallelo al viaggio di Nosferatu verso la città di Harker e della moglie Lucy. Questi due viaggi sono pieni di sequenze prettamente herzoghiane, la natura è protagonista con i monti, le grotte, le cascate, e sono molti i documentari del regista in seguito dedicati a questi elementi, così come il viaggio delle bare di Dracula su una zattera sul fiume e poi la nave che le porta sull’Oceano perdendo durante la traversata uomini e pezzi riporta a Fitzcarraldo che arriverà tre anni dopo. Ma sono tante le immagini di animali, principalmente topi ma anche maiali, cavalli, pecore che invadono città quasi deserte perché la peste sta annientando gli abitanti umani, un’apocalisse in cui la natura si riprende gli spazi deturpati dagli umani, coloro che stanno marcendo sotto l’avanzata del più marcio di loro, il non morto Dracula. Il tutto esaltato dalla musica eterea dei Popol Vuh, e torniamo all’articolo di Asylum in cui ben si descrive l’emozione che danno questi brani: “Abbiamo ripercorso le strade di antiche città scomparse e misteriose, abbiamo solccato i cieli aggrappati a Garuda, e siamo giunti alla fonte dell’Amrita, l’acqua della vita eterna”. Nosferatu è un film di volti, di follia, in cui solo l’amore potrebbe sconfiggere il male, quello che rende debole fino alla morte il vampiro preso dalla purezza della bianchissima Isabelle Adjani, ben diversa dalle Lucy tradizionali, qui tutt’altro che debole e capace di sacrificarsi per sconfiggere il male. Il confronto espressionista tra il volto orrido del vampiro e quello esangue della delicata Lucy come è strutturato da Herzog è da brividi. Un capolavoro visivo e auditivo. (Voto 8)
Rohmer nei suoi film ci riempie di parole, di conversazioni sull’amore, sulle decisioni da prendere, sulla moralità delle azioni. Poi segue i suoi protagonisti nei comportamenti che sono, quasi sempre, in completo contrasto alle parole ed essi sono sempre pronti ad aggiustarle al proprio uso e consumo. Così anche nel suo classico Pauline alla spiaggia (1983) in cui la bellona e incostante Arielle Dombasle interpreta Marion, una donna non più giovanissima ma ancora bellissima, sulla strada del divorzio da un marito che non ha amato, che arriva fuori stagione in una località di villeggiatura con la cugina quindicenne Pauline (Amanda Langlet). Qui le due incontrano un vecchio amico di Marion (da sempre innamorato di lei), Pierre (Pascale Greggory) e il marpione Henri, Feodor Atkine. Mentre Marion si innamora di Henri, creando crisi di gelosia a Pierre, Pauline si accompagna ad un coetaneo, Sylvain. Gli amori delle due donne verranno minati da un “incidente” (Henri mentre Marion è a Mont St. Michel si porta a letto una giovane venditrice ambulante) che diventa un malinteso (Henri racconta a Marion che è Sylvain che ha avuto un “affaire” con la donna creando una rottura con Pauline). La trama si fa così boccaccesca e in tutto ciò Pierre diventa spia e coscienza irritante nel giudicare le due donne e le loro scelte. Pauline alla spiaggia è un tipico Rohmer dove la verità viene aggiustata da ciò che si vuol credere, e dove ciò che si afferma è adattato a ciò che si vuole, sempre che si riesca a capire cosa è che veramente si vuole. Il film fa infatti parte del ciclo rohmeriano Commedie e proverbi e la frase di Chretien de Troyes in esergo alla pellicola: “Chi parla troppo si danneggia” dice tutto del film. (voto 7). A parte un paio di scarpe Nike, nessun product placement.
Recensioni