Giocare con i sentimenti, adeguarsi agli altri per non volersi far vedere deboli o strani. Catene mentali che poi si riversano sui comportamenti. Catene che legano principalmente i giovani che non sanno ancora la via da prendere. Divertimento, orgoglio, esteriorità rinchiudono in una gabbia la persona vera, quella che ama e ha bisogno di affetto. La persona debole che tutti noi siamo anche se non vogliamo farlo vedere.
Queste considerazioni dopo aver visto l’intenso film d’esordio di Molly Manning Walker, documentarista e fotografa londinese che ha scritto e diretto How to have sex al momento visibile su Mubi. Il film è stato premiato come miglior film della sezione Un certain regard a Cannes 2023.
Vacanze estive, si parte per le isole greche. Sedici anni, amiche di scuola, tre ragazze vogliose di vita e desiderose di non pensare al futuro. Discoteche, alcool, agghindarsi da fighe per impegnarsi in una gara su chi farà più sesso in questa vacanza. Tara, in qualche modo la reale protagonista, è ancora vergine e spera di riuscire ad avere il primo rapporto sessuale proprio in questo periodo. Incontrano altri ragazzi e una ragazza (gay) con cui trascorrono serate di sballo alcolico e musicale. Tara però, contro i propositi di sesso libero e sfrenato, ha un’attrazione particolare per Badger, ma a causa della timidezza interiore (non manifestata agli altri) di entrambi e ad alcuni fraintendimenti i due non finiscono a fare qualcosa di fisico. Il più spigliato e cinico miglior amico di Badger, Paddy, invece non ha problemi di sorta per “intortare” una Tara in un momento di difficoltà psicologica (per le incomprensioni con Badger e per l’incognita sul futuro che la attende essendo stata bocciata) e la conduce di notte in spiaggia con chiari intenti. Lei dapprima fa resistenza al perder la verginità con un ragazzo che non ama, ma poi, per i motivi di cui dicevo all’inizio, in qualche modo cede con un sì che sa più di no… Infatti il rapporto avviene ma non è soddisfacente ed è vissuto dalla ragazza quasi come uno stupro.
La Manning Walker gestisce il film come un forsennato spring breaker (ma senza droga, solo tanti ma tanti shottini…) tra discoteche e amorazzi con la vitalità di un Korine o un Kechiche, ma in realtà restando molto più pudica e accompagnando con profondità e empatia la formazione dolorosa di Tara alla vita, in questo aiutata da una bravissima Mia McKenna-Bruce interprete protagonista. Molto riuscita la parte in cui la regista dà il punto di vista femminile sui rapporti sessuali al limite del consenso. La differenza tra un “sì” e un “no” è molto sottile ed è difficile per un uomo capirlo. Le problematiche psicologiche di una ragazza che, apparentemente, sembra libera sessualmente, potrebbe rischiare di diventare molto sgradevoli da questo atto non ben ponderato e voluto.
Product placement quasi nullo se si eccettua il riferimento alla BMW come auto per “ricchi”.
Voto 7