Andar a recuperare film da vecchie vhs messe da parte da decine di anni ti porta a pescare come nei cestoni dei discount, trovi roba che non sai cosa possa essere. In verità ci sono le valutazioni di Imdb che sono abbastanza affidabili, in genere, non sempre, e lo sconosciuto film Implicated (1998) passato su Duel una ventina d’anni fa con il titolo Implicazione d’amore, unico film girato da tal Irving Belateche, sul portale più famoso di cinema ha un bel 4,2 di media voto. Dato che sono un testone vado comunque a dargli un’occhiata se non altro perché la trama parla di rapimenti e di indagini poliziesche, film di genere quindi che se anche brutto comunque si può (quasi) sempre guardare. Dico subito che il voto è meritatissimo (forse eccessivamente negativo ma non di molto) perché trattasi di operina paratelevisiva che dietro una trama che meritava miglior regia e sceneggiatura (un “figlio di” fa innamorare di sé una brava e bella ragazza e le chiede di fare da babysitter alla figlia del proprio datore di lavoro, senza dirle che si tratta di un vero e proprio rapimento della bambina a scopi di ricatto architettato proprio con il padrone/amico della sauna in cui lavora. Da qui si svilupperanno omicidi, interventi di una squadra di poliziotti da telefilm e un avventuroso finale in una miniera…). Regia slavata, interpreti tanto bellocci quanto mediocri, nessun approfondimento psicologico e neppure atmosfere noir degne. Insomma la solita roba da film tv della serie gialla estiva di Rai2. (voto 5-) A parte le auto (Dakota, Dodge e altre) vi è un product placement particolare quando la babysitter dice alla bambina di farsi chiamare con un altro cognome: “di loro che ti chiami Camel, come le sigarette”.
Film d’avventure africane per la coppia Giuliano Gemma-Ursula Andress, Africa express (1975) di Michele Lupo, poi replicate con il successivo Safari express da Duccio Tessari. In realtà bisognerebbe parlare di un trio dato che affiancata alla coppia di belloni c’è anche la scimmia Biba che fa da vera e propria spalla comica a Gemma. Lui è un trafficone americano in Africa che sta cercando, tra poker e vendita di cianfrusaglie, di mettere insieme i soldi per tornare a Detroit dove vuole comprare un distributore di benzina, lei, la Andress, è una specie di agente segreto che si fa passare da suora (dell’“ordine della giarrettiera”, che mostra direttamente dalle sue lunghe gambe) per cercare di catturare un traditore, ed ora contrabbandiere e bracconiere senza scrupoli, interpretato dal volto da cattivo per eccellenza Jack Palance. Cinema popolare che mischia commedia, scazzottate ed esotismo adatto per un pubblico di ragazzini nelle proiezioni parrocchiali, con giusto un po’ di malizia erotica (ma neanche tanta) da parte della Andress. Gli indigeni sono rappresentati con la tipica supponenza un po’ razzista occidentale, ingenui, ignoranti e facilmente raggirabili, ma con una frase pronunciata da una ragazza di colore africana che capovolge la frase tipica dei bianchi “superiori” verso i neri, infatti rivolgendosi verso Gemma dichiara “io non sono razzista ma questi bianchi puzzano proprio!”, ridicolizzando così proprio quegli occidentali che lo dicono. (voto 5+)
Su Rete 4 passò anni fa (e lo vedo solo oggi) un noir francese di secondo piano diretto dal semisconosciuto Tony Saytor, autore di quattro lungometraggi tra la fine degli anni Cinquanta e i Sessanta poco visti e meno celebrati. L’unico con un po’ di visibilità è proprio questo Rapina all’alba (ça n’arrive qu’aux vivants, 1959) nobilitato dalla presenza di Magali Noel. Tratto da un romanzo di James Hadley Chase vede François Boyer interpretare un onesto garagista con moglie e debiti che incontra la femme fatale Gloria (Magali Noel) che lo convince a prestare parte della sua officina ad alcuni amici i quali gli avrebbero per questo dato il denaro per appianare i debiti. In realtà donna e “amici” progettano una rapina ad un furgone postale il cui deposito si trova di fronte alla sua casa-officina. Capito l’inganno cerca di sottrarsi ma viene ricattato per aver ceduto alle avances di Gloria (con tanto di riprese) e con le minacce di sfigurare sua moglie. Avvenuta la rapina in cui viene ucciso il suo miglior amico e trovatosi nei guai con la polizia decide di farsi giustizia da solo andando a scovare i rapinatori-assassini per vendicarsi. Il film è potabile, più nella prima parte anche grazie alla maliarda Noel e per l’interessante costruzione noir, meno nella seconda in cui Boyer (non è certo Robert Mitchum ma neanche Lino Ventura…) si erge a giustiziere della notte di seconda mano… (voto 6-) Piuttosto abbondante la presenza di marche, un product placement che ben sfrutta l’ambientazione in un’officina con le pubblicità di olio Esso, benzina Shell e pneumatici Englebert, ma sono presenti anche Cinzano (il solito posacenere), Jaguar (l’auto della Noel) e dischi della casa musicale Decca.
Il primo anno di attività di Ruggero Deodato da regista, il 1968 (se non consideriamo l’esordio in collaborazione e da lui non firmato Ursus il terrore dei Kirghisi del 1964) è molto prolifico con ben 4 film girati. Sono tutti “filmetti” popolari e divertenti che si accodano alle mode del tempo, una commedia musicale (Donne, botte e bersaglieri), un avventuroso con un pizzico di erotismo (Gungala la pantera nuda), una commedia vacanziera (Vacanze sulla Costa Smeralda) e un misto di fumettistico e spionistico, questo Fenomenal e il tesoro di Tutankamen, il peggiore di tutti. Lo trovate su youtube e ha un cast cult con Lucretia Love nella parte della bella doppiogiochista, Gordon Mitchell e John Karlsen (due facce da gaglioffi leggendarie) in quelle di coloro che cercano di mettere le mani, senza scrupoli, sul tesoro (che per la cronaca è la maschera autentica di Tutankamen trafugata da un museo), e pure Maurizio Merli in una particina. Purtroppo Deodato è ben lontano dagli interessi che lo hanno portato a dirigere film per lui ben più eccitanti tra horror e cannibalici e a diventare per questi un regista mitico in tutto il mondo. Qui gira svogliatamente, mette assieme una trama piena di buchi e, cercando a tutti i costi di creare sorprese e personaggi doppi, ottiene solo il risultato di rendere “scontato” il succedersi degli eventi, soprattutto chi si cela dietro la tuta “diabolika” di Fenomenal (lo si capisce praticamente alla prima apparizione dell’attore che lo interpreta), unica invenzione che poteva avere un certo afflato pop se fosse stato gestito bene, ovvero un uomo mascherato che sventa crimini. (Voto 5). Ambientato a Parigi il product placement riguarda sì la rivista francese Match, ma principalmente la
Ancora sulla morte di Bruce Lee, dopo Dragon story (1974) di cui abbiamo già detto, due anni dopo esce Io… Bruce Lee (Bruce Lee and I, 1976), operazione perlomeno ambigua, intanto perché prodotta dalla Shaw Brothers che con Lee ebbe grossi problemi avendolo corteggiato e mai avuto tra le sue star, poi perché vi ha collaborato anche Betty Ting Pei, ovvero l’amante di Lee nel ruolo di… se stessa. Lei, l’attrice nella cui casa fu trovato morto Bruce Lee, accusata dai fan dell’attore di essere la causa della sua morte e che per questo non potè neppure partecipare al funerale. Lei che dichiarò non esser mai stata la sua amante ma una sua amica, si rappresenta nella fiction come un’aspirante attrice e prostituta che con Lee ci andava a letto eccome… Tentativo di confessare le sue debolezze dimostrando però che con la sua morte non c’entrava? Mera speculazione per fare denaro? Oppure… su internet trovate varie ipotesi complottiste che la vedrebbero in combutta con le Triadi per eliminare Lee, potete andare a leggerle. Tornando al film inizia con la morte del nostro dopo aver fatto sesso con Betty, ingollato qualche pillola e mezzo fatto. Betty viene additata dall’opinione pubblica come colpevole e cerca di dimenticare rifugiandosi e ubriacandosi in un bar dove viene assalita da alcuni giovani, perché l’accusano dell’omicidio di Lee oppure perché mandati da un boss con cui ha debiti di gioco? Ce lo svelerà la stessa attrice che si confida al barista (che poi scopriremo conoscitore delle arti marziali) ed inizia così un lungo flashback che parte dall’incontro casuale con Bruce che la salva da alcuni bruti, dalle sue difficoltà a sfondare nel mondo del cinema che la vuole solo come controfigura erotica sfruttando il suo bel fisico e poi prosegue fino a quando ne diventa l’amante clandestina dopo aver fatto “carriera” accompagnandosi a ricchi uomini a cui si prostituisce. Il film è pieno di nudi (ma Betty Ting Pei si fa controfigurare… chiudendo il cerchio…), combattimenti di Bruce Lee (interpretato da Danny Lee prima di diventare a sua volta famoso attore del cinema di Hong Kong) e mostra la decadenza dei due, che vengono “separati” dai produttori, lei diventando giocatrice accanita piena di debiti, lui dandosi al bere e diventando irritabile e viziato sul set. Fino al finale che conosciamo. Il film non è gran chè, quasi un’exploitation (fu anche reintitolato The sexy life of Bruce Lee), ma questa ambiguità di personaggio fittizio e personaggio reale a cui si presta l’attrice ha qualcosa di realmente curioso. “Se questa miscela di fatti reali e fiction ha lasciato perplesso il pubblico, deve essere stato ancora più strano per Miss Ting Pei” (da Mondo Macabro di Pete Tombs – St. Martin’s Griffin). (Voto 5,5). Indubbio il product placement di Pepsi Cola, le auto sono principalmente Mercedes e Bruce Lee indossa scarpe Adidas.
Eddie Constantine incontra Renato Rascel in un incrocio tra il cinema popolare francese e quello italiano sotto la direzione di Giorgio Bianchi e una sceneggiatura a cui hanno messo mano (a leggere i crediti) sei sceneggiatori tra cui spicca Sergio Corbucci. Stiamo parlando di un film di cui pochi hanno parlato. Pur essendo passato su Rete 4 anni fa non ne trovate recensioni né sul Morandini, né sul Mereghetti (e ce lo aspettavamo) ma neppure su Stracult e nel sito Davinotti è citato! Mani in alto (1961) non è così male da essere trascurato in questo modo. E’ una parodia del genere spionistico e del noir d’azione che in quegli anni vede protagonista Lemmy Caution/Eddie Constantine. Tenuto conto che già questo genere di film è in parte parodico, qui abbiamo di fronte la parodia di una parodia. Renato Rascel è un poliziotto che viene incaricato di riportare in Italia il pericoloso Felice Esposito (Constantine) malvivente che ha subito la pena dell’estradizione. Quest’ultimo accetta di buon grado il rientro perché così può architettare una trama in cui egli fa passare dalla frontiera in maniera del tutto insospettabile una valigia di droga. Rascel fa la parte del sempliciotto (si rivelerà finto tonto alla fine) che si presenta a Parigi con la bionda moglie svampita (Dorian Gray) e sembra facilmente “giocabile” da Esposito che infatti fa tutto quel che vuole. Si libera delle manette con un passepartout, se ne va dall’amante (Fabienne Dali), prende accordi con un capobanda per lo scambio di denaro e droga e ha anche il tempo di portare Micacci (il nome del poliziotto interpretato da Rascel) a veder alcuni numeri di varietà al Lido e a farsi accalappiare da qualche donnina allegra (e maggiorata) al nightclub. Il film è frizzante, Rascel limita i suoi numeri di “varietà” soliti per una comicità più in parte (canta anche una canzone Pigalle cha cha) e Constantine fa se stesso. Comicità alla buona, numeri di varietà, belle donne nella prima parte, poi il film diventa un vero spionistico caciarone con tutti i protagonisti che si scoprono doppiogiochisti nel più classico svolgimento del genere. Alla fine non troppo stupido e omaggio ai generi del cinema popolare francese e italiano come doveva essere. (voto 6) La birra Tubor è la primattrice del product placement sbucando in varie scene, poi Citroen e Moet-Chandon.
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