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CINEMA
6 Febbraio 2024 - 23:25

DIARIO VISIVO (Li Han-hsiang)

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Tre film del tutto diversi del maestro cinese
DIARIO VISIVO (Li Han-hsiang)

. Avevo già sottolineato nel commento a The kingdom and the beauty la capacità di resa poetica e visiva di Li Han-hsiang, regista di Taiwan quasi sconosciuto in Italia (solo tra fan totali e studiosi del cinema di Hong Kong, Taiwan e Cina, tra cui l’ottimo Michele Senesi Man Chi a cui vi rimando per una recensione completa a The love eterne del 1963 che con tutta la sua passione vi fa capire l’importanza di quest’opera nei succitati territori https://www.asianfeast.org/recensioni/the-love-eterne/). The Love eterne conferma il cinema visivamente affascinante del regista anche se è un film più ostico per un occidentale se non riesce ad amare l’opera cinese. Infatti la pellicola è interamente (o quasi) cantata e incentrata unicamente sul rapporto d’amore tra le due (o i due) protagoniste/i, rapporto nello sviluppo simile a quello di The kingom and the beauty ma rovesciato perché una donna ricca ama un uomo povero ed è costretta a sposare un suo pari casta mentre il poveraccio si lascia morire. Ma qui la differenza la fa l’ambiguità uomo/donna. La protagonista è una donna decisa ad andare ad un’accademia d’arte tutta maschile e per farlo si traveste da donna. All’accademia ha un’amicizia fraterna, che poi diventerà amore melodrammatico, con uno studente che però è pure interpretato da un’attrice donna. Insomma si evidenzia, in modo assolutamente femminista e moderno, l’ambiguità dei sessi e dell’amore. Il film è un po’ troppo formale e teatrale (e, ripeto, non molto fruibile a chi non conosce e non ama l’opera in generale e quella cinese in particolare) ma ha un’esplosione di struggente poesia melodrammatica nel finale che fa capire la grandezza del regista. (Voto 6/7).

Nel precedente The enchanting shadow (1960) invece Li Han-Hsiang utilizza la sua finezza di regia per realizzare un horror con fantasmi che sarà il prototipo da cui Ching Siu-tung poco meno di trent’anni dopo trarrà Storie di fantasmi cinesi. Il film inizia come un Dracula qualsiasi (l’influenza dei film Hammer è evidente) con un viandante che arriva in un paesino di provincia e chiede di essere portato ad un tempio verso il quale nessuno vuole andare (non vorrete mica morire?). Trovato, raddoppiando il prezzo, un temerario che lo accompagni in portantina trascinata da un cavallo, viene lasciato davanti ad una costruzione in decadenza apparentemente abbandonata. Qui si trova un guerriero canterino e all’interno una bellissima dama che con lui scambia versi poetici e disegni. L’amore osteggiato da un paio di anziane parenti della bella interrompe il loro rapporto. Il nostro scoprirà che la donna è però un fantasma che deve attirare gli sconosciuti, facendoli innamorare di lei, verso le megere che succhieranno loro il sangue a morte. Lei però questa volta si innamora del poeta e rompe i piani alla nonna costretta ad uno scontro finale con l’aiuto del guerriero che ucciderà la vecchia fantasma/vampiro in perfetto stile… Hammer (ancora). Bella fotografia, eleganza formale, buon utilizzo dell’armamentario horror (vento, pioggia, lampi, ombre, scricchiolii di porte, lamenti ecc.) e divertimento d’antan (voto 6+).

Nel 1975 Li Han-hsiang gira un film storico sul lungo regno dell’imperatrice Dowager Cixi. Venti anni dopo torna sull’argomento con, appunto, The empress Dowager (1989), il suo stile registico seppur sempre elegante è più “moderno” (e non è detto che questo sia meglio…) e il ritratto della durissima e tenace imperatrice, già concubina e vedova di un imperatore e madre di un altro, al potere per quasi cinquant’anni, con la sua corte di eunuchi, sorelle, dame e nobili ambiziosi da tenere a bada e su cui imporsi, è curato e “colorato” e le vicissitudini pietose del figlio a cui non permette di prendere il potere, del suo amore impossibile con Gong Li cacciata dalla corte e costretta a diventare una prostituta, nonché della moglie umiliata, hanno un afflato umano che ruba la scena alla pur affascinante imperatrice e alla sua spietata sete di potere (voto 6)

STEFANO BARBACINI

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