Il primo film visto nella sezione principale del Torino Film Festival 2022 è un po’ deludente, La hija de todas las rabias di Laura Baumeister è uno sguardo sentito sulla parte più povera del Nicaragua. Una madre e una figlia vivono in estrema povertà dentro ad una baracca nei pressi di un’enorme discarica fino a che la madre non ne può più ed è costretta ad abbandonare la figlia che testardamente non vuole rinunciare a lei. Purtroppo il tentativo di voler raccontare la povertà con le armi del realismo magico di grande tradizione latino-americana finisce per annullare le buone intenzioni e la realistica ambientazione iniziale scadendo nel risibile con l’apparizione finale della madre-animale (voto 5,5). Unrest di Cyril Schaublin ovvero come un argomento molto interessante (il movimento anarchico tra gli operai di una fabbrica di orologi nella seconda metà del XIX secolo in Svizzera) e una precisa, quasi maniacale, ricostruzione storica non portino sempre a buon cinema. Tutto perfettino in questo film che però porta ad una noia letale lo spettatore (voto 5). Man and dog di Stefan Constantinescu rientra pienamente nei canoni tracciati dalla nuova onda del cinema romeno, ormai non più nuova visto che siamo vicini ai quindi anni di opere, entro cui anche giovani esordienti si mantengono. Un piccolo evento (in questo caso una questione di corna) cambia non repentinamente ma in progressione la vita dei protagonisti e piano piano investe altre questioni morali e sociali (rapporto uomo-donna, emigrazione in questo caso). Minimalismo e naturalezza degli interpreti è la costante. Man and dog non è il migliore del lotto ma sicuramente è dignitoso (voto 6). Uno dei film più ostici del festival è Nagisa di Takeshi Kogahara. E’ come se il regista abbia girato il film che ha una trama solida (fratello e sorella morbosamente attaccati fra di loro fino ad arrivare all’incesto, lui se ne va a studiare a Tokyo cercando in tutti i modi di separarsi da lei, lei prende una corriera per raggiungerlo e muore in un incidente stradale sotto ad un tunnel dove si dice ora ci siano fantasmi) e poi abbia deciso, tipo cut-up burroughsiano, di smontarlo pezzo per pezzo e rimontarlo in maniera che pare casuale. Per lo spettatore comprendere la storia diventa impresa assai ardua e il piacere della visione scema quasi totalmente. Anche perché il regista non fornisce immagini esplicative ma inquadra per lo più dettagli e fuori scena. Un film contro la forma cinema standardizzata ma anche contro lo spettatore, rischiando di restare un mero esercizio estetico-intellettuale seppur di un regista che ha sicuramente una sua visione (voto 5,5). Rodeo invece è cinema rock, uno sguardo femminile (regista Lola Quivoron e interprete principale Julie Ledru a cui va il premio di miglior attrice) ad un mondo quasi esclusivamente macho come quello delle moto. Rombi di motore, morte, redenzione. Traffici leciti e illeciti tra canaglie più o meno simpatiche, più o meno violente. Julie vuol far parte di questo mondo imponendo la propria personalità e indipendenza. (Voto 6,5). Kristina dalla Serbia, regia di Nikola Spasic, storia di un trans operato e a tutti gli effetti donna che per potersi permettere l’operazione si è data alla prostituzione che continua anche dopo l’intervento. Tra incontri con i clienti e ricerche di oggetti religiosi antiquari di cui è appassionata, troviamo anche un eccessivo discorso moralistico su cosa è corretto per la religione e i conseguenti sensi di colpa da parte di chi non ne rispetta i canoni stabiliti. Didascalico e poco cinematografico (voto 5). Il vincitore della Camera d’Or di Cannes approda al concorso del TFF, stiamo parlando di War pony (menzione speciale) del duo di registe Riley Keough e Gina Gammell. Dagli USA un sentito e ben costruito film su una comunità pellerossa in America e di come i loro giovani (i due protagonisti hanno vinto il premio di miglior interpreti) debbano barcamenarsi per riuscire a sopravvivere tra tentazioni di illegalità e sfruttamento elitario da parte dei ricchi wasp. Uno dei migliori film del concorso (voto 7). Ritorno al cinema del regista probabilmente più kitsch del mondo, Eduardo Casanova, l’autore di Pieles, presenta il suo nuovo film, La piedad, una storia di dipendenza totale di un figlio alla madre (Angela Molina), messa in paragone con la dittatura nordcoreana, raccontata con un orgia di rosa da far star male, patinatura costante da far impallidire Lachapelle e immagini provocatorie gettate senza timore di sorta in faccia al pubblico: un intervento di estirpazione di un tumore da un cervello, un primo piano di una vagina sbrodolante, una grottesca rappresentazione di un parto… Uno Xavier Dolan portato all’eccesso oltre ogni limite del buon gusto. Casanova va preso così chi vuole lo prende chi non vuole lo lascia (voto 6+). Un altro bel film del concorso è Palm trees and power lines di Jamie Dack (vincitore del primo premio) nel quale la regista narra la vicenda di una diciassettenne che vive con la madre (il padre se ne è andato alla sua nascita) che ha i suoi problemi e non la capisce. I suoi coetanei la annoiano e non le danno una ragione per considerarli. E’ così che finisce tre le braccia di un muscoloso trentaquattrenne, amorevole, interessante e sedicente libero. Sarà così? O è un lupo in cerca di una preda? Interessante come il film sia una progressione di empatia con la storia, all’inizio si fa fatica ad interessarcene poi diventa un acuta analisi della psicologia giovanile, dura e senza sdolcinature (voto 7). Pamfir di Dmytro Sukholytkyy-Sobchuk è un altro bel film che tramite il linguaggio del noir classico (seppur trasposto in una zona periferica dell’Ucraina, tra i boschi sul confine con la Romania) narra di un contrabbandiere pentito costretto a rientrare nel giro e a mettersi contro il boss locale (un poliziotto della forestale che in realtà è a capo dei traffici illegali), diventa inno per la libertà a tutte le tirannia che mai come in questo momento potrebbe essere adeguato alla situazione ucraina (Voto 7)