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CINEMA
4 Marzo 2024 - 20:34

DIARIO VISIVO

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L'Ozpetek di Netflix, un curioso Bellocchio e la narrazione di una star porno gay
DIARIO VISIVO

Film anomalo e coraggioso nel panorama del cinema italiano, Poco più di un anno fa (2003) è un esordio scritto, diretto e interpretato da Marco Filiberti. Storia a più strati temporali della pornostar gay Riki Kandinsky, in realtà figlio di famiglia nobile francese sotto mentite spoglie, e del fratello, nobile decaduto pieno di debiti, separato da moglie e figlio e in crisi esistenziale. Quest’ultimo incontra dopo anni Riki (al funerale del loro padre) e si reca a casa sua a Roma scoprendone il mondo, da cui all’inizio è schifato, per poi cominciare ad apprezzare le qualità umane del fratello e dei suoi bizzarri amici, ritrovando sé stesso e l’amore della moglie. Nel film c’è troppa roba: l’artista in crisi che non riesce ad amare (Rosalinda Celentano), Riki che non crede nell’amore di coppia perché ha paura di restarne deluso, la nuova donna del fratello (Francesca D’aloja) ridotta a poco più di una macchietta, il mondo dei set porno con cinici personaggi (il produttore Franco Oppini), registi sentimentali (Luigi Diberti) e collaboratrici simpaticamente alla buona (Caterina Guzzanti in una delle sue divertenti macchiette ma totalmente estranea al mood del film), l’attore porno innamorato ma respinto e un po’ di filosofeggiare buttato a caso. Poi c’è anche la patetica storia del bambino Papla che perde la madre lesbica e viene accolto dai nonni (la nonna è un’invecchiata ma brava Erika Blanc), trova in Riki il padre mancante ma a causa del lavoro di quest’ultimo è costretto ad allontanarsene da una giustizia… ingiusta. Insomma, tema coraggioso, alcuni passaggi interessanti ed altri buchi clamorosi. Il problema del film probabilmente sta tutto nel fatto che Filiberti ha voluto far tutto da solo, una mano più esperta in fase di scrittura e un produttore esecutivo più attento avrebbe giovato al film (voto 5+).

Il cinema di Pietro Marcello prima (ma anche dopo) il bellissimo approdo alla fiction pura con Martin Eden,  è un cinema sempre in bilico sul crinale che divide il documentario dalla finzione, il realismo dal favolistico. Bella e perduta (2015) ne è splendido esempio. Nato come documentazione filmica dell’angelo di Carditello, Tommaso Cestrone, volontario custode della Reggia/tenuta di Carditello, appartenuta ai Borbone di Napoli e poi lasciata andare al disuso e alla decadenza. La bella e perduta del titolo è proprio la Reggia che anche grazie a Cestrone è stata ripulita, difesa dai saccheggiatori e poi acquistata dallo Stato ed ora aperta al pubblico, desiderio del Cestrone stesso che, purtroppo, a pochi mesi dalla riapertura, nel dicembre del 2013, è morto d’infarto. Qui comincia l’altra parte del film di Marcello, un road movie con protagonisti un pulcinella e un bufalo chiamato da lui Sarchiapone, termine della lingua campana diventato famoso grazie ad uno degli sketch più memorabili della televisione italiana con protagonista un Walter Chiari superlativo. Sarchiapone era un piccolo di bufala destinato come tutti i maschi della specie al macello raccolto e accudito da Cestrone. Il pulcinella scende dal monte Vesuvio per prendersene cura e portarlo verso il sud. Susseguirsi di immagini di un’Italia rurale che, utilizzando una pellicola scaduta, il regista riesce a restituirci nella loro poetica rustica con colori e movimenti al limite dello sperimentale, con i commenti “filosofici” e amari del bufalo per cui il pulcinella ha chiesto grazia di parola. Purtroppo non riuscirà, come già l’asino EO di Skolimowski, ad evitare il macello sperando di ritrovarsi in un altro mondo, magari sulla luna o un pianeta dello spazio, migliore della terra. I film di Marcello sono curati e scritti con intelligenza e non lasciano mai indifferenti alla loro visione (voto6/7).

Ci provo ancora con Ozpetek nonostante non lo abbia mai amato, ma il Nuovo Olimpo prodotto da Netflix è piaciuto a pubblico e a parte della critica. Anche perché due fatti mi hanno spinto alla curiosità mia sorella (!) per cui è un film bellissimo e una recensione positiva su Nocturno (che non mi pare sia rivista particolarmente affezionata al nostro). Allora uno sguardo va dato e per me è l’ennesima delusione. Qui tra autobiografismo, nostalgia per il cinema di una volta (nel senso di sala cinematografica) e ai film in bianco e nero della Magnani, omaggi agli amati Almodovar e Sirk, il regista italo-turco riesce a mettere insieme un Frankestein sbrindellato di sentimentalismo, dialoghi pretenziosi, trucchi ridicoli e momenti clou da non credersi nella loro forzatura (ti domandi: ma davvero ha deciso di fare una cosa del genere?). Ozpetek dimostra di aver appreso poco dai vari Tornatore, Almodovar, Sirk, Castellani, che in un qualche modo cita, dato che la loro emulazione ha portato a questa “cosa” a metà tra una telenovela e uno sceneggiato di Rai 1 con tanto di attori adeguati (allo standard televisivo). Sorprendente che ci siano in giro tante recensioni favorevoli, probabilmente gli scriventi sono stati attratti da una fotografia veramente bella, una scelta di musiche furbetta (come sempre) e scene di sesso piuttosto forti con nudi integrali, principalmente maschili, ad inizio film per cui si poteva pensare che il regista si sarebbe lasciato andare ad un altrettanto forte racconto di omosessualità e passione con un certo coraggio. Invece una scontata storia di due ragazzi che si incontrano e amano negli anni settanta e, per un banale impedimento dovuto a scontri di piazza che non permettono ad uno dei due (quello che diventerà un famoso regista, probabile alter ego di Ozpetek stesso) di andare ad un appuntamento, si perdono, si costruiscono altre vite e poi dopo quarant’anni si ritrovano capendo di aver perso l’occasione della loro vita (e per fortuna almeno viene evitato il ridicolo finale), aveva bisogno, per essere interessante, della forza carnale di un Fassbinder oppure quella del melò fiammeggiante di un Sirk, se non quella ironica e dalla scrittura illuminata di un Almodovar, ovvero tutti quei registi che il nostro sicuramente ama ma di cui non riesce ad essere capace neppure lontanamente di replicare l’arte. Il giudizio che sto dando a questo film è probabilmente condizionato dall’aver visto da pochi giorni Past lives un mezzo capolavoro in cui una regista esordiente, con una storia simile, dimostra di avere freschezza, capacità di scrittura e precisione registica che il navigato Ozpetek ha forse perduto (o non ha mai avuto). P.S. mi devo ricordare di non ascoltare più i consigli di mia sorella 😊 (Voto 4,5) Vespa tra il poco product placement del film.

STEFANO BARBACINI

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