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CINEMA
4 Gennaio 2024 - 22:15

DIARIO VISIVO

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Il delitto del diavolo, Le deportate di Rino De Silvestro e un melodramma Shaw Brothers
DIARIO VISIVO

GENERE ITALIANO. “Tania, voglio annusare la tua pelle. Il tuo ventre. La tua bocca. Le tue labbra bagnate. Voglio bere la tua saliva. Morderti il corpo. Succhiarti il sangue.” Un John Steiner totalmente fuori di testa sta per assaporare il momento in cui la donna che da sempre ha amato e che non ha mai potuto possedere, finalmente gli si concede. Ma sarà una concessione di sesso e morte, infatti la donna ha nella vagina un tappo con lamette… Il naziexploitation di Rino De Silvestro Le deportate della sezione speciale SS (1976) si differenzia da quasi tutti gli altri perché non è una sequela di torture su donne nude (attenzione i nudi insistiti e le scene scabrose come la depilazione del pube alle detenute e le scene erotiche soprattutto lesbiche sono pur sempre la principale attrazione del filone), ma qui De Silvestro, solitamente grossolano e non certo regista memorabile, riesce ad ottenere un intreccio decadente e morboso da Visconti di serie C con una certa capacità di creare un climax. Infatti il clou del film è il rapporto malato tra il vizioso Herr Erner che nel castello di Wallenstein sta reclutando ragazze ebree per farle diventare prostitute o cavie, uomo terribile e violento ma clamorosamente invaghito della nobile Tania Nobel (Lina Polito), che piuttosto che dargliela fa sesso con l’attendente di Erner (lo sgradevole Dobermann, interpretato dal grezzo Guido Leontini, talmente sottomesso al capo che si fa anche sodomizzare da lui…) e rinuncia alla fuga verso la libertà per potersi vendicare di lui. Il film è stato apprezzato dagli specialisti del cinema di genere italiano, sia da Gomarasca/Pulici che ne La piccola cineteca degli orrori (Bur Rizzoli) scrivono: “E’ il film italiano della serie “nazi” che ha goduto del maggiore successo di pubblico nella stagione 1976-77, un riscontro più che giustificato dalla qualità della pellicola, diretta con una certa cura, persino calligrafica, nonostante tutto.” Fa loro eco Giusti nel suo Stracult (Speling & Kupfer): “E’ di una certa classe, anche perché sono protagonisti John Steiner (una volta attore con Peter Brook, ma qui in veste di sotto-sotto Dirk Bogarde) e Lina Polito. Per “Delirium” è tra i migliori titoli del genere.” (Voto 5,5)

GENERE ITALIANO. Il delitto del diavolo (1970) è una di quelle bizzarrie che facevano del nostro cinema di genere qualcosa di unico e che adesso, nel panorama generale, si vedono raramente mentre allora, negli anni 70 e 80, erano pratica comune. Andavi al cinema e non sapevi bene cosa poteva riservarti la trama di un film. Non sto parlando di qualità ma di varietà di argomenti, in pratica anche se andavi a vedere un film non particolarmente memorabile comunque ti restava quella trama, quella trovata visiva inusuale. Tutto il cinema di Pasquale Festa Campanile ad esempio era un po’ così. Tonino Ricci, che come produttore ha prodotto alcuni capolavori del cinema d’autore, come regista si accoda a quanto ho scritto sopra. Ma tornando al film in questione per Gomarasca e Pulici “è allo stesso tempo capostipite in pectore del filone demonologico, che mischia satanassi a discorsi sul potere, e oggetto irriducibile a ogni ipotesi di antecedenti o epigoni”. Il film comincia con Ray Lovelock giovane contestatore (“non usate con me questo termine, sono solo un uomo libero”) che incontra il diavolo. Lui a cavallo di una Suzuki, il diavolo in completo grigio, cravatta e sigaro fermo con una gomma a terra. Dopo un discorso piuttosto farraginoso contro la sregolatezza dei rapporti con le donne e a favore del matrimonio (“anche se un tradimento ogni tanto ci può stare”), il diavolo apparentemente muore in un incidente. Il nostro si ritrova in piena notte a fermarsi in una casa ai limiti di un bosco. Qui vivono tre donne (Haidèe Politoff, Silvia Monti e Evelyn Stewart) che lo accolgono e lo trattengono con la loro avvenenza e tramite il piacere del sesso. L’uomo libero si fa “stregare” letteralmente e si scoprirà che le tre donne/streghe lavorano per il diavolo e su suo ordine lo giustizieranno. La sua colpa è quella di essere un contestatore della società e della borghesia per cui il diavolo parteggia. Metafora veramente banale e puerile che rovina parecchio il resto del film che ha una buona atmosfera misteriosa e alcune buone trovate visive. Il regista non spinge ne sul sesso ne sul lato oscuro, non riuscendo a tenere vivo l’interesse dello spettatore per tutto il film. (voto 5,5)

SHAW BROTHERS. Abbiamo già visto come la Shaw Brothers producesse musical scanzonati in pieno clima anni ’60 (Hong Kong Nocturne, Hong Kong Rhapsody…) ma qualche anno prima metteva in produzione anche musical “vecchio stampo”, ovvero melodrammoni di opera barocca come ad esempio The kingdom and the beauty (1959) girato al “maestro Li Han-hsiang, demiurgo di ricostruzioni storiche quasi stordenti nella loro maestosità” (da Il passato del dragone, articolo di Stefano Locati su Nocturno n.10 dell’aprile 2003). La storia di una inserviente di una taverna sedotta e messa incinta nientepopodimenoche dall’imperatore in persona e lasciata nel disonore perché le tradizioni non permettono ad una semplice donna del popolo ambire alla massima nobiltà, mischia vari topoi melodrammatici da Vacanze romane, a Madame Butterfly, a La signora delle camelie. al canto dell’opera cinese, con una forza visiva notevole utilizzando i colori iperrealistici del Technicolor in bellissimi scenari di studio. (Voto 6+)

Stefano barbacini

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