Sono ben dieci i film argentini presenti nelle varie sezioni del Torino Film Festival; i selezionatori infatti sono convinti che il cinema del paese sudamericano, nonostante tutti i suoi problemi economici (o forse proprio per questo) sia il più vitale al mondo in questo momento. Sicuramente Puan di Maria Alché e Benjamin Naishtat (di cui Dys ha già recensito i precedenti Rojo e Historia del miedo) è commedia politico-filosofica di tutto rispetto. Naishtat già con i precedenti film aveva dimostrato di interessarsi, preoccupato, del clima politico argentino, dei tormenti passati e delle preoccupazioni del futuro. Ora narra la storia del professore di filosofia Marcelo Pena che vede perdere di importanza sempre di più la cultura e le Università di fronte al denaro, alla corruzione e all’arrivismo. Si ride dei suoi impacci e delle sue indecisioni, ma si ride amaro. La società argentina è rappresentata allo sbando con lo stato sociale a pezzi, i fallimenti economici si susseguono e la gente sopravvive con difficoltà e se la soluzione è quella che il popolo argentino ha deciso con le recenti elezioni ho paura che il futuro rischia di essere nerissimo e non solo per gli intellettuali. (Voto 6,5). A parte brevi apparizioni di Coca Cola e di una tv RCA, il product placement vintage delle sigarette messicane Delicados è inserito come ricordo di tempi migliori.
Dalla Romania ultimamente come si pesca si pesca bene. Il regista Andrei Tanase grazie al Torino film Lab è riuscito ad esordire al cinema con Tigru film che per raccontare i problemi di coppia di Vera (veterinaria in uno zoo) e Toma (teatrante e fedifrago) e la tragedia della morte del loro bimbo appena nato passa attraverso alla fuga di una grossa tigre e alla caccia alla stessa a cui partecipano, oltre al personale dello zoo, la polizia, un cacciatore di professione e due tipi poco raccomandabili (che erano proprietari della tigre stessa). Il film è piacevolissimo e in puro stile nuovo cinema romeno parte da un accadimento di apparente secondaria importanza per indagare sui comportamenti umani. Anche sarcastico quando un prete ortodosso che ha appena fatto un funerale con tutti i crismi ad una tigre rifiuta quello alla bambina perché non battezzata! (Voto 6,5).
Difficilmente chi si occupa del Torino Film Lab sbaglia nella scelta dei giovani registi e dei loro progetti e anche con la finlandese Tia Kouvo ci pare abbia fatto una scelta giusta. Il suo film Family time va nella direzione della lunga tradizione nordica dell’esplorazione critica e impietosa della famiglia tradizionale. Di suo ci mette una scelta rigorosissima di messa in scena decidendo di dividere il film in due parte ed in entrambe utilizza una trentina di piani fissi in cui i protagonisti agiscono davanti, senza un movimento di macchina (solo l’ultima sequenza ne usa uno per andare a riprendere in primo piano la bambina che probabilmente è l’alterego della regista stessa che osserva la sua famiglia). Davanti all’obbiettivo osserviamo la vita di una “normale” famiglia durante una riunione famigliare durante le feste natalizia, i due anziani genitori, le figlie, una vedova e una con il marito, e i nipoti. Elemento perturbante dell’atmosfera di “letizia” è il vecchio padre, alcolizzato da sempre, che, ad esempio, durante una canzoncina natalizia della nipotina defeca sul tappeto della sala davanti a tutti! Ironia, analisi drammatica, svelamento dell’ipocrisia borghese, tutto senza eccessi ma con una lucidità gelida come lo è la terra finlandese invernale. Se l’autrice riuscirà ad abbandonare la pura rappresentazione di storie vissute e ad ottenere un’intensità visiva incamminandosi verso l’eccellenza (verso, capisco, inarrivabile) bergmaniana avremo un’autrice importante per il futuro. (Voto 7). Vario il product placement con attenzione su Volkswagen e lo store Sokos.
Jessica Woodworth è regista nata belga ma apolide (nella presentazione del film dimostra di conoscere bene anche l’italiano) e già autrice di vari film tra cui si ricorda La quinta stagione, il suo più famoso. Membro anche della giuria del Torino Film Festival 2023 vi presenta fuori concorso il suo ultimo Luka prodotto dal Torino Film Lab che solitamente sponsorizza registi esordienti o quasi, quindi una piccola anomalia. La Woodworth dice di essersi ispirata al libro Il deserto dei tartari per il suo film e questo è evidente. Soldati presidiano un avamposto ormai da tempo immemorabile contro il nemico dal Nord che nessuno ha mai visto. Arriva un nuovo volontario che si rivela il miglior soldato di tutti e viene mandato in avanscoperta e finirà nei guai. Ambientato in un tempo senza riferimenti (probabilmente un prossimo futuro), mette l’indice contro il fascismo e l’ottusità dei militari a cui capo bizzarramente è una vecchia donna (Geraldine Chaplin). Il senso del film sta nell’ultima frase, i nemici dal Nord siamo noi. Contro l’arroganza del potere che porta violenza cieca e guerre. Bel bianco e nero, bei paesaggi, buona tensione sospesa ma del genere si è visto di meglio (vedi ad esempio Ne il cielo ne la terra di Cogitore di qualche anno fa). (Voto 6-)