Continua la serie di pink movies presentata al Far East Film Festival 2011:
ABNORMAL FAMILY – Masayuki Suo (1984).
Secondo il regista Masayuki Suo (altro nome passato con successo al cinema “normale” dopo gli inizi pink) Abnormal Family è un omaggio al maestro del cinema giapponese Ozu. In effetti le inquadrature, l’understatement della recitazione e anche la storia (un vecchio genitore viene abbandonato dai tre figli e resterà accudito dalla nuora) appartengono tutte al mondo Ozu. Però non riesco a dar torto a quelli che più che ad un omaggio pensano ad una parodia. Infatti dialoghi a volte volutamente ridicoli e le vicende erotiche della famiglia (il figlio maggiore, sposato, lascia la moglie preferendole una maitresse sadomaso, la nuora “svezza” il cognato ragazzino, la figlia decide di lavorare in una sauna erotica) fanno deragliare il film verso l’ironico. Nonostante ciò il regista dimostra una certa conoscenza del maestro e ci dona anche immagini non banali dei rapporti sessuali a volte (ad esempio durante il rapporto sadico della prostituta che picchia il figlio maggiore) ammantati da luce caravaggesca. Un autobotte della DAIKIO OIL che fa da sfondo ad una scena non in modo fuggevole e il SUNTORI WHISKY (è l’unica bevanda, presente con numerose bottiglie, ad essere esposta nel bar dove il capofamiglia si reca a farsi il cicchetto serale) sono i product placement del film.
BLUE FILM WOMAN – Kan Mukai (1969).
Torniamo agli anni sessanta con questo noir (uno dei pochi pink a colori del periodo), storia di vendetta da parte di una donna che perde madre e padre a seguito di debito con un usuraio che per essere ripagato richiede prestazioni in natura alla genitrice della protagonista. La ragazza diventerà una prostituta e riprendendo i propri atti sessuali con uomini d’affari li ricatterà ottenendo la vendetta voluta ma mettendosi anche nei guai con la yakuza. Il film inizia in maniera molto promettente con un montaggio pop e musica a tema, prosegue altrettanto bene mettendo in scena la violenza psicologica a cui è costretta la vecchia madre concedendosi all’usuraio e pure al figlio demente dello stesso in una sequenza degna di un film horror, ma poi si rovina nello sviluppo della trama perdendo logica ed atmosfera. COCA-COLA torna presente con insegne in giro per la città.
UNDERWATER LOVE – Shinji Imaoka (2011).
Trashone del festival è questo film che si situa tra la Troma e Henenlotter. Storia d’amore tra uno studente che torna dall’aldilà trasformato in un Kappa, sorta di folletto che vive nelle paludi, parte uomo, parte uccello e parte tartaruga, per conquistare l’amata. Nel film troviamo un po’ di tutto, a parte il trucco amatoriale del Kappa, dal musical con coreografie orrende, al pink, naturalmente, al fantasy. Poi ancora un Dio della Morte in costume hippy, un rapporto sessuale tra il Kappa e una prostituta con fellatio sull’enorme pene (di gomma), una “perla anale” che introdotta proprio lì salverà la protagonista dalla morte e altre bizzarrie trash-amatoriali da non perdere per gli amanti del cinema Z. Praticamente nullo il product placement in questa produzione nippotedesca se non un paio di ADIDAS ai piedi di uno dei coprotagonisti.
HIGH NOON RIPPER – Yojiro Takita (1984).
Yojiro Takita è il regista di Departures, film edito anche in Italia, vincitore dell’Oscar per il miglior film Straniero 2009 e che ha avuto un buon successo nel circuito d’essai nostrano. Takita prima di questo exploit (Departures in effetti è molto bello) ha alle spalle una lunga militanza da regista di pink movies. Dal 1974 al 1986, anno in cui è passato al cinema mainstream, ha girato una ventina di film erotici tra cui questo “assassino di mezzogiorno”, omaggio ai giallo-thriller italiani degli anni ’70. Un assassino seriale uccide un paio di donne estirpando loro la vagina. Una giornalista e un paio di fotoreporter sono sulle sue traccia. La trama è tenuta insieme “con lo scotch” tra una scena di sesso e l’altro (molta masturbazione femminile invero), i trucchi sono tutt’altro che truculenti con un po’ di sostanza rossa distribuita sui cadaveri e la noia è sovrana. Unica traccia del tocco registico che sarà sono alcune sequenze di montaggio che vedono inserire nello svolgimento della trama tocchi surreali come ascensori vuoti e un uovo in camicia il cui tuorlo viene tagliato a richiamare l’occhio bunueliano. Le immagini degli assassini sono ripresi con NIKON, inquadrata spesso e in dettaglio, la SUNTORY BEER fa bella mostra di sé su vari tavoli, l’assassino sfoggia un cappellino GOODYEAR e un fotoreporter lavora per la rivista PHOTO JOURNAL.