L’ultimo film di una carriera cinematografica importante, quella del regista americano William Friedkin scomparso lo scorso agosto, arriva direttamente in streaming su Paramount plus dopo esser stato presentato al Festival di Venezia. L’ammutinamento del Caine, Corte Marziale è l’adattamento di un’opera teatrale di Herman Wouk.
Girato praticamente in due stanze, è la serratissima rappresentazione del processo contro il comandante in seconda della dragamine Caine (l’adattamento è modernizzato portandolo nel 2022 e tratta di un’operazione per sminare il Golfo Persico), Stephen Maryk, che ha destituito dal comando il commodoro Queeg (interpretato da un Kiefer Sutherland che tra smorfie e pelle gonfia e raggrinzita assomiglia al Jean Gabin anziano, quello de Il barone per restare in tema marittimo). Si confrontano due avvocati, il tenente Greenwald e la commodora Katherine Challee di fronte al giudice della Corte Marziale Luther Blakely (Lance Reddick). Da una parte si cerca di accusare Queeg di aver dato sintomi di instabilità mentale durante l’arrivo di un ciclone e dall’altra naturalmente di far riconoscere come atto arbitrario quello del tenente Maryk. Ma sotto accusa è anche l’istituzione, ovvero la Marina che è assolutamente in difficoltà a dover comunque giudicare gli atti sbagliati di qualcuno dei propri membri.
Il film mette infatti sotto accusa atteggiamenti individuali ai limiti evidenziando le difficoltà umane sotto pressione per cui “anche i comandanti sono uomini”, salvando però l’istituzione con il patriottismo che già conosciamo di Friedkin. Il film è costruito in modo di propendere prima verso Maryk, poi di virare mettendo allo scoperto le magagne di un irrequieto Queeg, per poi finire in un party dove viene evidenziato che le colpe non sono così facilmente distribuibili. L’andamento del processo non è mai una vera sorpresa e anche il finale è preventivabile dalle reticenze iniziali di Greenwald nella difesa dell’amico e assistito. La capacità di Friedkin è quella di far passare le quasi due ore di film senza un attimo di tregua e senza far troppo pensare allo spettatore a quello che potrebbe facilmente intuire. Riesce a non annoiare mai insomma nonostante non vi sia una sola immagine che esca dalle due stanze entro le quali il film è girato, questo è il pregio di uno dei grandi registi “classici” di cui rimane Eastwood in rappresentanza vivente (che sente il peso degli anni bisogna dire ed è di cinque anni più anziano).
Si potrebbe vedere il finale, al di là della difesa di uomini che nonostante i loro errori sono persone che hanno dedicato la loro vita alla Patria, anche come un invito alla conciliazione e alla collaborazione per evitare gli scontri che portano sempre conseguenze negative, mentre vi è una decisa critica all’intellighenzia che butta fango sulle istituzioni per ottenere fama e ricchezza. (Voto 7)
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