Avvolto dalle bellezze degli affreschi murales creati nel corso delle varie biennali nel borgo medioevale di Dozza (fra le quali l’originale, per i nostri studi, Koncept Dozza dell’artista praghese Michal Strerejeck dipinta in occasione della biennale 2000, un product placement artistico di poste italiane con enorme francobollo e tanto di timbro sulla facciata di un muro a pochi passi dal municipio), estasiato dalla personale di Aldo Borgonzoni (Medicina 1813 – Bologna 2004) con la sua ossessione per le mondine (si, ma scordatevi pure la Silvana Mangano di Riso amaro), dopato dalla pop art, dalle marche e dai fumetti della mostra su Echaurren e completamente assorto dai miei impegni su tunnel di Los Angeles maledetti, incubi su donne squartate, sequestri Coeniani e bare ad angolo retto del Ravenna Nightmare, la notte del 27 ottobre il vostro affezionatissimo decide di seguire l’invito di David(e) Bulgarelli e di muovere il culo in direzione della capitale.
Organizzata meglio di James Bond, un’operazione di copertura completata alle 3 di notte presso la taverna del Melarancio, dopo essermi armato del necessario ed essermi docciato, come novello Ulisse (decidete voi se nella versione classica di marito di Penelope di Omero o in quella dublinese del Leopold Bloom di James C. Joyce) mi avvio in direzione della stazione di Ravenna dove mi attende il primo tratto della mia odissea: regionale 11595 diretto a Rimini.
Il viaggio non è certo il più corto, ma ho tanto tempo e tante cose da leggere fra sceneggiature e il regalo più caro avuto in questi tempi dopo essere tornato da Giallo Latino (festival della letteratura gialla di Latina) Progenie di Guillermo del Toro e Chuck Hogan, storia di un Boeing 777 della Regis Airlines in volo da Berlino a New York che dopo essere atterrato perfettamente al JFK rivela al suo interno un’inquietante mistero: tutti sono morti, equipaggio compreso. Una rivisitazione sul mito del vampiro (ma ci torneremo al più presto: fra i product placement più belli Toblerone e Viagra), non caro per la storia ma perché donatomi da una splendida Catwoman Selvaggia.
Ma torniamo al viaggio dell’astronave Nostromo e al suo passeggero, che dopo essere atterrato a Rimini si addentra nella libreria Mondadori della stazione giusto per passare i 40 minuti che lo attendono al decollo dell’astronave 2123 diretta Falconara Marittima.
Anche questa seconda parte scorre tranquilla nella sua ora e un quarto mentre a New York cominciano degli strani accadimenti nell’obitorio dove giacciono i cadaveri del volo 753 della Regis Airlines. I morti risorgono ma anche da noi arriva il dramma che nessuno aveva calcolato: tre ore di attesa a Falconara Marittima, paese sede, probabilmente della più grossa raffineria dell’API, dove pensavo/speravo ci fosse qualcosa da fare o da visitare. Invece niente.
45 minuti sopra il cavalcavia della stazione a fissare il mare e la raffineria un paio di foto al treno cargo vuoto più lungo che abbia mai visto che transitava sotto ai miei piedi che ho intitolato treno lungo vuoto: scene da un oblio, una al tovagliolo appeso su un balcone di fronte alla stazione con la scritta Via la centrale API intitolata protesta solitaria: scene da un oblio 2 (per chi volesse vedere le foto verranno sicuramente esposte al Centre Georges Pompidou, per gli amici Beaubourg di Parigi, in una mia personale completa che si terrà dopo la mia morte n.d.r), 25 minuti a sfuggire al negretto più rompicoglioni che abbia mai incontrato, 15 per visitare la chiesa e il resto in un parchetto isolato fortunatamente vuoto (prima di essere scambiato per pusher o pedofilo) nell’attesa di capire cosa avevano intenzione di fare i morti viventi che ormai scorrazzavano tranquillamente per le vie di New York.
Le 4 ore successive sono servite per attraversare l’Italia attraverso gli Appennini finché alle 18.10 finisce la prima fase del viaggio con l’arrivo alla stazione termini.
10 minuti per riambientarmi con un ambiente famigliare, un paio di acquisti assolutamente necessari e poi via di corsa verso il Teatro Planet di Via Crema 14 dove mi aspettava la terz’ultima puntata di Donne d’amore – Rassegna di monologhi femminile andata in onda dal 11 al 30 ottobre.
Prendiamo la tessera, anche se ce l’avevamo già considerato che poco tempo fa avevamo visto e recensito Quest’amore (frammenti shaekespiriani che insieme a Muovi il culo critico di merda verranno riproposti domenica 6 c.m. in occasione dell’apertura della stagione teatrale del teatro Caesar di San Vito Romano) ma con tutte quelle che abbiamo chissà dov’era finita.
Inutile tirar fuori titoli o aziende con cui collaboriamo, troppe e troppo importanti. Quale scegliere? E poi siamo o non siamo in incognito? Dy’s News: la guida Michelin del product placement
Lo spettacolo parte con la presentazione degli autori e dei registi di ogni singolo brano e la sua interpretazioni fatta dalla brava attrice di turno. Passano così i pezzi Angelina con Ester Albano, Cornelia Battistini con Chiara Mastroiacovo, la pescivendola con Rita Pasqualoni e Serata Berlinese. Monologhi che parlano di amore, morte, Anton Cechov, e pescheria.
Per ultimo il vero motivo della nostra trasferta: l’invito che non potevamo non accettare: Muovi il culo critico di merda.
Sono le 10.37 quando sul palco appare l’attrice Giusy Forciniti, splendida come Nausicaa sulla spiaggia agli occhi di questo novello, ma non bello, Ulisse.
Dapprima è solo un ombra blu che canta l’aria Mackie Messer dall’Opera di Tre Soldi di Bertolt Brecht musicata da Kurt Weil (Und der Haifisch, der hat Zahne tradotta Mostra i denti il pescecane), poi appare lei bravissima nella parte di una presentatrice un po’ (molto) sopra le righe che presenta vari premi, mostra la giuria, mostra i critici, coinvolge il pubblico in una performance da bagaglino facendo cantare ad uno di questi Fratelli d’Italia per poi cambiare registro ed accusarli di essere inetti, incolti (quanti libri hai letto quest’anno? Risposta comune nessuno. Quante volte sei andato a teatro? (si intende serio non quello da bagarre che sta interpretando n.d.r) Nessuna. Quante volte hai mosso il culo per andare nei teatri sperduti, magari in scantinati, con sedie da bar dell’oratorio per vedere la vera cultura, la gente che si sbatte perché ama questo lavoro e ama il teatro? Nessuna. Perché vai solo dove c’è la prima importante, affermata fatta da prezzemoline, dagli arrivati o dai raccomandati di turno. E tu ministro quanto vuoi dare al teatro quest’anno? Niente togli tutto e fanculo tutti. Bravo! E così dicendo estrae dalla giarrettiera la pistola che punta verso il pubblico degno di essere eliminato.
Non staremo a questo punto a citare Sid & Nancy di Alex Cox con Sid Vicious (il leader controverso dei Sex Pistols) che spara al suo pubblico prima del (realmente successo) omicidio suicidio con Nancy Spungen, ma faremo un collegamento degno del nostro Max Renn II.
1977 primo anno della televisione a colori in Italia e primo senza Carosello. Sandra Mondaini e Raimondo Vianello, in Rai, dopo i successi di Tante scuse e Di nuovo tante scuse, conducono lo spettacolo Noi…no da due studi televisivi diversi e, come sempre nei loro show, soprattutto da dietro le quinte.
Sandra Mondaini vuole ed ottiene uno spettacolo a colori con balletti, megastudio, cantanti e quant’altro (modello bagaglino appunto). A Vianello, volendo fare uno spettacolo di cultura, la RAI da una sorta di teatro sgabuzzino dove costringe i tre soliti storici “sfigati” dei dietro le quinte Enzo Liberti (il capoclap), Tonino Micheluzzi (lo schiavo di Vianello) e Massimo Giuliani (il barista della Rai) a seguirlo in questa impresa: attori in calzamaglia che interpretano opere colte (che immancabilmente vanno a puttane) trasmesse esclusivamente in bianco e nero.
Pubblico e critica ovviamente se ne stanno al caldo dalla parte del “bagaglino” e più volte Vianello tenterà incursioni dall’altra parte per attaccarli per dargli degli incolti o addirittura per farsi notare (storica l’irruzione durante il passaggio dei responsabili del programma Odeon, il primo programma Rai con le tette, dove sulla musica del programma tutto il pubblico si sta spogliano e anche lui comincia lo spogliarello). L’analogia non è l’unica in quanto la sigla del programma alternava la sigla della Mondaini “Cerco un uomo” a colori con 30 ballerini a “Mackie Messner” in bianco e nero con i 4 scemi che tentavano di fare i pistoni a ritmo di musica.
Così come noi no, anche se in modo simile ma diverso, Muovi il culo critico di merda è un atto d’amore, product placement al teatro nelle sue forme più nascoste e più colte.
Finita la visione, per il vostro affezionatissimo, l’odissea non era ancora finita.
opo una cena dalle parti del Pigneto in compagnia di un paio di compagni della serata ed aver bevuto un birretta dalle parti di San Giovanni, si è avventurato ad una visita della Roma notturna: Colosseo, altare della Patria, Piazza della Repubblica, guardato a vista dalle forze dell’ordine che ogni tanto passando in macchina osservavano questo strano visitatore notturno, in attesa che aprissero la stazione Termini dove lo attendeva il treno della 5.45, un regionale pallosissimo diretto a Falconara Marittima, città che mi ha riaccolto a braccia aperte alle 10.30 con i suoi treni, le sue centrali API, le rivolte silenziose dai balconi e dai negretti fin troppo fisionomisti. Quattro ore e 2 treni dopo mi rituffavo al mio compito di Ravenna dove al Nightmare mi attendevano sequestratori di famiglie, di prostitute, esorcismi e strane missioni spaziali.
Muovi il culo critico di merda… e noi lo abbiamo fatto.
Ma a questo punto il anche destino si chiede se è valsa la pena fotografare treni, osservare rivolte silenziose, scomodare Nausicaa e Leopold Bloom, far atterrare aeri carichi di zombi, far comparire Trudi, slalomare negretti questuanti, forze dell’ordine e spacciatori notturni solo per fare il nostro dovere di critici (di merda) e per vedere un’opera di questa portata.
Nessuno può dare consigli al destino ne a Roma che all’horror fest ne altrove, ma noi rispondiamo di si soprattutto per la bravura dell’attrice Giusy Forciniti, raffinata interprete che non si può non amare incondizionatamente per la sua passione nel calarsi in questo e in altri ruoli che abbiamo fortunatamente avuto la possibilità di vedere. Io con il nostro collaboratore tedesco Otto. E, ovviamente, anche Otto approva.