VALLANZASCA, GLI ANGELI DEL MALE – Michele Placido (2010)
Dal libro autobiografico di Vallanzasca (scritto a quattro mani con Carlo Bonini) e dall’interessamento personale di Kim Rossi Stuart che ha avuto colloqui diretti con il carcerato, nasce questo film (poliziottesco) che, come la precedente opera firmata da Michele Placido “Il grande sogno”, ha suscitato polemiche ancora prima dell’uscita. Stavolta la questione riguarda l’etica di realizzare un film facendo di uno dei più famigerati delinquenti della storia italiana un “eroe” solo parzialmente negativo.
Si resta sempre un po’ stupefatti di quanto clamore suscitino i prodotti realizzati da Placido perché in realtà si discute sul nulla, nel senso che. sia quando il regista si addentra nella memoria degli anni di piombo, sia quando affronta la storia della criminalità italiana, il suo modo di esporre gli argomenti è di una superficialità tale da non riuscire veramente a capire perché si faccia di tutto per amplificarne la risonanza che può avere sul pubblico con sterili polemiche.
Tornando a “Gli angeli del male”, vengono riassunti - per la prima volta visto che i due precedenti film che si ispiravano alle gesta del bel Renè erano solamente “ispirati” alle sue vere vicende come già riportato dai precedenti articoli di dy’s news su “La belva col mitra” e “La banda Vallanzasca” – nel film tutti gli accadimenti più importanti della vita di Vallanzasca tra quelli che hanno interessato le cronache dei giornali per almeno una quindici anni, il periodo che va dal 1972 al 1987, con in più un flashback in cui si mostra la nascita dell’amicizia tra Renato/Rossi Stuart, Enzo/Filippo Timi e Antonella/Paz Vega ancora bambini e poi legati nel bene e nel male per il resto dell’esistenza.
Le prime rapine e i primi delitti della banda - a BANCA DELLA BRIANZA, CREDITO LODIGIANO e SUPERMERCATI LOMBARDI -, il rapporto con Consuelo (Valeria Solarino) che ha come conseguenza la nascita del figlio di Renato, lo scontro con la banda di Francis Turatello (Francesco Scianna), l’omicidio dei poliziotti al posto di blocco di Dalmine, il carcere, le fughe, il matrimonio con una delle tante ammiratrici che lo seppellivano di lettere in galera, i contrasti con Enzo (Filippo Timi) tossico e pericoloso, la comunella con Turatello ritrovato in prigione.
Lasciato ai titoli di coda invece il secondo matrimonio con cui suggella l’amicizia con la compagna d’infanzia Antonella (Paz Vega).
“Vallanzasca” è un brutto film perchè:
Michele Placido è rimasto all’estetica degli anni ’70, e non sto parlando delle ambientazioni che naturalmente dovevano essere d’epoca, parlo del modo in cui compie scelte registiche, senza innovazioni, senza soluzioni inventive e moderne, come se trent’anni di cinema fossero passati invano.
Il character Vallanzasca è costruito spingendo eccessivamente (direi esclusivamente) il lato istrionico e fascinoso pertanto (senza entrare nelle sciocche polemiche etiche di cui ho parlato in precedenza) quando gli vengono appioppati i vari ergastoli dai giudici ci sembra quasi un’ingiustizia. Manca in pratica la capacità di colpire lo spettatore con scene dure e capaci di coinvolgerlo nella spiacevolezza della violenza in modo che questa lo scuota dolorosamente come un grande film di questo tipo dovrebbe essere in grado di fare.
Come già “Romanzo criminale”, seppur apprezzandone il ritorno al genere che in Italia ci manca tanto, l’originalità non è di casa e nulla contribuisce a dare un qualche beneficio qualitativo al media con cui è espresso (cosa che invece fa ad esempio la serie televisiva tratta dal film di Placido sulla banda della Magliana, almeno nel panorama delle fiction italiane) e, inoltre, “Gli angeli del male” sembra una remake di livello inferiore dell’invece ottimo, doppio, “Nemico pubblico n.1” sul corrispettivo francese di Vallanzasca, Jacques Mesrine.
“Vallanzasca” è un bel film perché:
La prestazione di tutti gli attori è, contrariamente a quella fornita dal cast di “Il grande sogno” che era ai limiti del sopportabile, notevole, a cominciare da Kim Rossi Stuart che si immedesima clamorosamente nel personaggio facendoci dimenticare la sua presenza attoriale, continuando con la splendida Solarino e con il parco di caratteristi che ci ricorda quanto il cinema (e il teatro) italiano potrebbe ancora dare in questo campo.
Se guardiamo il lungometraggio come un’operazione meramente di genere senza scomodare alti fini artistici, cosa che dovrebbe capire anche Placido e cioè di non essere l’erede di Petri o Rosi ma, per non far dei nomi, di Grieco o Petroni, allora il film funziona, un onesto film di mala non estremo ma che si lascia vedere piacevolmente.
Se, ancora, ci caliamo nella visione utilizzando una chiave fumettistico/grottesca, i caratteri di Francis Turatello, Enzo (solo considerando l’interpretazione di Filippo Timi in questa luce possiamo digerirla) e, soprattutto, il fantastico “angelo della morte” dalla faccia pulita ma perversa del Donato di Lorenzo Gleijeses, assassino a comando, sono stupendi personaggi da comics live action.
Infine un merito di regia lo vogliamo riconoscere al Placido, ed è l’intensa sequenza del doloroso omicidio/vendetta di Renato ai danni di Enzo, finalmente un sussulto di emozione intensamente terribile.
Lato pubblicità troviamo un sacco di roba vintage che fa atmosfera anni ’70 dalla cabina SIP ai RAY BAN di Filippo Timi, le ALFETTE utilizzate dai banditi prima di arricchirsi (poi diventeranno delle ben più lussuose BMW) e ancora due televisori decisamente d’epoca, un MAGNADYNE e un VOXON.
L’informazione delle gesta dei nostri viene data da CORRIERE DELLO SPORT e TG1 ma anche da NOVELLA 2000 (tra i giornali appare anche la GAZZETTA DELLO SPORT per altri motivi).
Product placement top del film un’enorme insegna SAI illuminata su di un grattacielo in una panoramica notturna insistita dei tetti di Milano.