DETECTIVE DEE E IL MISTERO DELLA FIAMMA FANTASMA – Tsui Hark (2010)
Bisognerebbe che i critici cinematografici andassero al cinema senza sapere chi è il regista del film. Il condizionamento conscio o meno del nobile spettatore a volte è talmente grande da prendere abbagli clamorosi, scambiando piacere personale con reale valore formale.
Non si riesce a capire altrimenti come si possa gridare al capolavoro davanti ad un film da ‘Parco Giochi’ come questo “Detective Dee…”. Solo il nome che vi sta dietro, Tsui Hark dal grande passato, può averne condizionato talmente tanto la visione.
Pensavamo che ormai fosse passata la moda per cui tutto quello che arrivava da Hong Kong dovesse essere per forza migliore e più interessante di quanto sfornato da Hollywood, macchina da cinema buona solo per far soldi di fronte ad un grande pubblico di bocca buona.
E cos’è “Detective Dee…” se non un blockbuster i cui fini sono da ricercarsi esclusivamente nel rientro al botteghino e interessi artistici o addirittura politici sono solo cose del tutto secondarie come in un qualsiasi “Harry Potter” o “Pirati dei Caraibi”?
Come si può definire grande ritorno del maestro Tsui Hark questa accozzaglia di stupidaggini bambinesche e terribili effetti in CGI, come si può scambiare per immagini meravigliose questo rimestare da mestierante, che ormai ha poche magie da estrarre dal cappello, del regista che pesca da un passato, questo sì inventivo e pieno di voglia di far cinema, ormai, appunto… passato.
Anche l’opera del grande Sammo Hung alle coreografie dei combattimenti pare svogliato e poco incisivo, non aiutato da un montaggio tale da trascinare via l’azione, imbastardita da inopportuni effetti digitali, non riuscendo mai a far risaltare i corpi degli attori, vera forza del cinema di Kung fu degli anni d’oro.
Non che il film sia orrendo, anzi a tratti la visionarietà di Hark riesce a regalarci momenti di gioia visiva ma senza toglierci il senso di déja vu (e in modo molto più incisivo e poetico) in capolavori dello stesso regista come “Green snake”, per non parlare di quelli di King Hu (il cui accostamento non è neppure ipotizzabile), ma anche in opere ben meno celebrate come il tanto bistrattato “La foresta dei pugnali volanti” di Zhang Yimou. Sono anzi convinto (purtroppo non esiste la controprova) che scambiando per errore i nomi dei due registi ai film prima della proiezione nel giudizio di questi critici saccenti e dalla visione ristretta quest’ultimo diventerebbe un capolavoro e “Detective Dee…” un giocattolone buono solo per divertimento di massa (quello che fondamentalmente è).
Vi sono altri pregi nella pellicola come la trama gialla inserita in un impianto storico, l’interpretazione degli splendidi attori (da Andy Lau a Tony Leung, degni della loro fama, fino alle splendide Carina Lau e Li Bingbing nei ruoli principali femminili) ma da qui a farlo passare come un capolavoro ce ne passa!
Consiglio a certa critica cinematografica di darsi una calmata e rendersi conto che il fattore soggettivo è naturalmente insito nei giudizi espressi ma bisogna anche tenere presente alcuni paletti teorici e qualitativi da utilizzare per stemperare l’impatto puramente emozionale e condizionante, altrimenti si rischia di buttare tutto in un calderone come quello già esistente in rete dove qualunque grafomane che ha visto un centinaio di film in tutta la sua vita (e con l’immaginario falsato da un estetica da videogioco e da HD/3D) può disquisire di cinema assurgendosi ad esperto.
Prendere posizioni arroganti e saputelle, più di pancia che di testa, lasciando che l’analisi seria sia annacquata dal piacere personale (ognuno ha il diritto di avere gusti personali, ma se a me piacciono le tettone maschiacce di ‘Faster Pussycat!’ o di ‘Bitch Slap’ non posso comunque non far notare la differenza qualitativa ed estetica tra i due prodotti e soprattutto non posso mica farli passare per Fellini!) fa male al cinema e all’autorevolezza della critica stessa.
“Detective Dee…” è un film senza product placement e quindi non dovrebbe neppur far parte di questa rivista ma noi, nonostante la nostra particolarità, ci teniamo alla nostra identità di rivista di cinema a tutto tondo creatasi in anni di esperienza.